Persino la festa del papà può essere occasione per sottolineare la mancanza di un'effettiva parità fra i sessi sul piano del lavoro
Il 19 marzo a Firenze si è svolto un convegno organizzato dalla Regione,
dal titolo "Maternità e paternità
nel lavoro". Tra l’altro, sono stati discussi i risultati della legge,
entrata in vigore nel 2000, che riguarda il congedo
parentale per i papà. Sono infatti
ancora pochissimi gli uomini che scelgono di astenersi dal lavoro (con le stesse
tutele offerte dalla legge alle madri) in occasione della nascita di un figlio.
I dati rilevati in nove province toscane attestano, su un campione di 5639 richieste
di congedo parentale, 285 domande presentate da lavoratori padri, circa
il 5% del campione esaminato.
Ci si chiede perché gli uomini rinuncino a un diritto che viene loro
garantito dallo Stato. Essenzialmente, i motivi sono due, uno di natura economica,
l’altro culturale, strettamente interconnessi far di loro.
Prendiamo il caso di una famiglia nucleare eterosessuale, formata da una giovane
donna e un giovane uomo, che lavorano entrambi (un modello di famiglia molto
diffuso in Italia). Alla nascita del figlio, l’ipotesi che sia l'una che
l'altro richiedano il congedo viene scartata per ovvie ragioni, specialmente
in questi tempi di recessione. Si imporrà quindi
una scelta: chi dei due continuerà a lavorare? chi si occuperà
a tempo pieno del nuovo nato? La risposta più immediata è:
la mamma. Ciò è dovuto alle tare culturali, che ci portiamo dietro
da secoli, sul ruolo della donna nell’accudire la prole, e a quello dell’uomo
nel “procacciare il cibo”. Fino a tre anni fa, d’altronde,
solo uno dei due genitori aveva la possibilità di “entrare in maternità”
(e questo non era certo il padre). E cambiare mentalità non è
facile.
Ma oltre alle motivazioni culturali, ci sono quelle economiche.
Anche coloro che non hanno alcun pregiudizio sull’effettiva intercambiabilità
dei ruoli si fanno i conti in tasca, e considerato che nella stragrande maggioranza
dei casi l’uomo percepisce un salario superiore a quello della donna,
che il suo lavoro è quasi sempre più sicuro e più stabile,
con più possibilità di far carriera, ecco
che la scelta è quasi obbligata. E le donne continuano ad andare in maternità.
È chiaro che, nell’ambito di un mercato del lavoro in cui le
donne sono ancora un soggetto più debole, con retribuzione e mansioni
spesso inferiori rispetto a quelle maschili e una maggiore precarietà,
la legge sul congedo parentale maschile è destinato a fallire. Non ce
ne facciamo niente di una legge all'avanguardia nella promozione di una più
equa redistribuzione di compiti e responsabilità fra uomini e donne,
se le regole del gioco restano fondamentalmente discriminanti.
Edoardo Zaffuto
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