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DONNE E LAVORO: ITALIA PENULTIMA IN EUROPA Stampa E-mail
In Italia riesce a lavorare solo il 46,3 per cento delle donne, contro una media europea del 46,3. Sette milioni in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro e al sud il tasso di occupazione crolla al 34, 7 per cento. E Lisbona è lontana

Penultimi in Europa. Negli ultimi mesi ci ha superato anche la Grecia e dopo di noi resta solo Malta. In Italia riesce a lavorare solo il 46,3 per cento delle donne; sette milioni in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro; al sud il tasso di occupazione crolla al 34, 7 per cento. C'è poi "il tetto di cristallo", quella sottile, trasparente ma robustissima pellicola che divide le donne dai posti che contano, li possono sfiorare ma mai afferrare: lo chiamavano così dieci, quindici, venti anni fa; è sempre lì, cristallo puro, infrangibile, beffardo.

Numeri e percentuali che non raccontano la "solita" questione di donne. E' invece una questione di produttività e di crescita economica. Più semplicemente: una faccenda di soldi e di ricchezza, delle famiglie e del paese. Bisogna partire da qui, dal fatto - dimostrato da economisti e specialisti di tutto il mondo - che se le donne lavorassero ci guadagnerebbero gli indici economici del paese, per trovare il giusto punto di vista, non retorico, non stereotipato, per parlare di donne e lavoro.

Il governo Prodi aveva cominciato a metterlo tra le priorità e con la Finanziaria sono stati approvati alcuni articoli, dal sostegno all'imprenditoria femminile ai congedi ad altri interventi per le cosiddette politiche di genere. Una via che rischia di essere abbandonata molto presto nonostante in queste ore di formazione di liste e limature di candidature, l'onda rosa arrivare da tutti i poli in campo con proclami, promesse e codici di autoregolamentazione. Stamani all'università di Catania Emma Bonino, ministro radicale del Commercio Internazionale e per le Politiche europee, convoca esperti di economia e di welfare per tracciare i contorni di una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma non riesce ad avere voce. E quando la trova, non ha risposta. Nell'aula magna del rettorato dell'università che ospita il convegno "Donne, Innovazione e crescita: un problema italiano", intervengono anche il ministro per la Famiglia Rosy Bindi e Barbara Pollastrini (Pari Opportunità). Era un appuntamento già preso, precedente alla crisi di governo. Bonino smentisce, ma il lavoro femminile può diventare il jolly da calare in campagna elettorale. D'altra parte hanno diritto al voto 26 milioni di donne e 24 milioni di uomini.

Sempre più lontani dall'Europa. Nel marzo 2000 a Lisbona i paesi europei decisero un piano sull'occupazione femminile intesa, appunto, non solo come una questione di genere ma come volano per l'economia nazionale. I paesi partirono da poche ma precise considerazioni: se la donna lavora entra più ricchezza in famiglia - a patto che ci sia un sistema di servizi sociali adeguato - aumenta il reddito e nascono più bambini. Fu deciso, era il Duemila, che l'obiettivo era raggiungere - dieci anni dopo, nel 2010 - quota 60 per cento: cioè il sessanta per cento delle donne devono per quella data risultare impiegate, con un lavoro autonomo o dipendente. La situazione, a due anni da quella scadenza, è che la media europea si aggira sul 57, 4 per cento e quella italiana è fissa sul 46,3 per cento. Penultimi, appunto, nell'Europa dei 27 paesi membri, a dieci lunghezze dall'isola di Malta. In nostra compagnia, sotto il 50%, ci sono Polonia e Grecia. Slovacchia, Romania, Bulgaria viaggiano ben sopra il 50 per cento. Cipro è già al 60%. La Slovenia, appena entrata nella Ue, è al 61,8 per cento. La Danimarca guida la classifica con una percentuale del 73,4%.

La forbice nord-sud. Il nostro sud è il luogo europeo dove le donne lavorano meno in assoluto. Ecco i numeri della disfatta: le percentuali sono bloccate al 34,7 per cento (circa il 70 al nord); dal 1993 al 2006 le occupate sono cresciute di 1.469 mila unità nel centro nord e solo di 215 mila nel sud; molte anche giovanissime smettono di cercare lavoro, le chiamano "inattive" e sono 110 mila tra 2006 e primo semestre 2007. Tra i 35 e i 44 anni, la fascia di età in cui si lavora di più, al nord lavorano 75 donne su 100; al centro 68 e al sud 42.

Pagate un quarto meno degli uomini. Anche quando arrivano, ce la fanno e sfondano quel benedetto "tetto di cristallo", alle donne è comunque destinato uno stipendio inferiore di un quarto di quello del collega maschio. I dati della Presidenza del Consiglio dicono che una dirigente guadagna il 26,3 per cento in meno di un collega maschio. Lo chiamano "differenziale retributivo di genere", è pari al 23,3 per cento: una donna percepisce, a parità di posizione professionale, tre quarti di uno stipendio di un uomo. E questo nel pubblico. Nel privato la situazione peggiora. Si legge in "Iniziative per l'occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona", sintesi delle cose da fare e su cui si era impegnato il governo: "I dati mostrano che il differenziale di reddito tra uomini e donne è maggiore nelle professioni più qualificate e meglio retribuite e nelle aree geografiche dove il reddito medio è più elevato che sono anche quelle in cui il tasso di attività femminile è già a livello degli obiettivi di Lisbona 2010. In conclusione non sembra che il mercato del lavoro, sia nel pubblico che nel privato, offra alle donne un ambiente che garantisce criteri meritocratici né un'adeguata motivazione. Sicuramente non offre pari opportunità".

Solo il 5% nei board delle aziende. Trovare una donna nei consigli di amministrazione e nei board delle aziende è impresa per persone molto determinate. Nel testo messo a disposizione dalla Presidenza del Consiglio si legge che "nel 63,1 per cento delle aziende quotate, escluse banche e assicurazioni, non c'è una donna nel consiglio di amministrazione". Su 2.217 consiglieri solo 110 sono donne, il 5%. Va ancora peggio nelle banche dove su un campione di 133 istituti di credito, il 72,2 per cento dei consigli di amministrazione non conta neppure una donna. Benché il 40 per cento dei dipendenti delle banche siano donne, solo lo 0,36 per cento ha la qualifica di dirigente contro il 3,11% degli uomini. C'è qualcosa che non torna visto che a scuola, all'università e nei concorsi le votazioni migliori sono quasi sempre delle studentesse.

Le percentuali crescono nelle aziende sanitarie nazionali dove sono donne l'8 per cento dei direttori generali, il 9% dei direttori amministrativi e il 20 per cento dei direttori sanitari. In politica la situazione è nota: ministre e sottosegretarie solo il 20 per cento; le deputate solo il 17 per cento. "Lo sbilanciamento di genere riscontrato in quasi tutte le aziende italiane - si legge nella Nota della Presidenza del Consiglio - può essere un indicatore di scarsa meritocrazia e di processi di valutazione e promozione poco trasparenti. Le pari opportunità sono in Italia un problema evidente come denunciano le statistiche".

Le più sgobbone d'Europa. Buffa storia, questa: l'Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa ma quelle che lavorano lo fanno più di tutte le altre. Ogni giorno, compresa la domenica, una donna italiana lavora, tra casa e ufficio, 7 ore e 26 minuti, un tempo superiore, appunto, a molti paesi europei (un'ora e 10 minuti in più, ad esempio, rispetto ad una donna tedesca). Facile da spiegare: il 77, 7 per cento del lavoro domestico - spesa, lavare, stirare, rigovernare, accompagnare etc. etc - è sulle spalle delle donne.

La conferenza di oggi affronterà altri temi delicati come "il permanere di una cultura di discriminazione", il lavoro cosiddetto "di cura" - figli, anziani, la casa, la spesa eccetera - che "non solo non è riconosciuto ma neppure è sostenuto da politiche efficaci". Il bilancio finale è un disastro . "Un'emergenza" dice Emma Bonino, " a prescindere da chi vincerà le elezioni, il problema della donna e del lavoro deve essere la priorità della politica". Certo, ci sarà da capire anche perché e da intervenire, ad esempio, sui media che danno una rappresentazione della donna parziale, sbagliata, non reale. Secondo uno studio del Censis (Women and media in Europe, 2006) )del 2006 in tivù trionfa il seguente modello di donna: moda o spettacolo (31,5%), vittima di violenza (14,2%), criminalità o devianze (8,2). A parte la politica (4,8%) e l'arte (0,9%) le altre voci riguardano disagi e sciagure, la cronaca nera prima di tutto. La donna del varietà, la bad girl o la donna del dolore. E tutte le altre, quelle che lavorano appunto? Potrebbe consolare il fatto che in tivù vanno molte esperte donne. Peccato che siano astrologhe (20,7%), esperte di artigianato locale (13,8%), di letteratura (10,3%), giornalismo (6,9%) e politica (4%).
Ma la prima cosa da far capire sarà che l'occupazione femminile deve diventare il terzo ingrediente, insieme a produttività e retribuzioni, di una strategia nazionale che voglia davvero contrastare declino e disagio.

Tratto da: Repubblica.it

11 febbraio 2008

 
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