Il mondo accademico non fa altro che replicare al suo interno le discriminazioni che le donne subiscono nella società
Che l'università italiana non goda di ottima salute è risaputo,
forse è meno noto che la rappresentanza femminile al suo interno versi
in condizioni peggiori. Il convegno La città, le donne
e il governo dell’università, svoltosi pochi giorni fa e
voluto dalla Commissione Orientamento della Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università Roma La Sapienza, ha cercato di mettere a fuoco
e articolare i termini della questione.
Duranti i lavori sono state affrontate diverse questioni, e non sono mancate
le disquisizioni sulla natura del rapporto tra donne e potere o, piuttosto,
donne e un certo tipo di potere. Quando si è
cominciato a parlare di rappresentanza il dibattito però si è
fatto ben più concreto.
Si è infatti chiarito subito che il mondo universitario
non fa che riflettere al suo interno la realtà della società.
"Le donne – spiega Gioia di Cristofaro
Longo – sono sottorappresentate nelle istituzioni
parlamentari, territoriali, politiche, culturali, artistiche e nel mercato del
lavoro. In Italia su un totale di 22.054.000 occupati le donne sono 8.365,
con una percentuale al nord del 55,1% e una soglia minima del 27,1% nel mezzogiorno
e le isole. In ambito lavorativo è presente anche una
disparità salariale: è infatti del 27% la differenza retributiva
a causa delle difficoltà per le donne di accedere alle categorie di inquadramento
più alte, pur se all’interno delle stesse categorie si presentano
variazioni notevoli. Si registra inoltre che è del 6%
la quota di donne licenziate in gravidanza, mentre è del 14% la
percentuale delle donne che in gravidanza decidono di abbandonare il lavoro”.
L'università replica dunque al suo interno le discriminazioni che le
donne di fatto subiscono nella società e, essendo uno dei centri strategici
della formazione, della ricerca e della vita democratica della società,
le riproduce. La discriminazione che esiste nella società nel suo complesso
si riflette nel mondo universitario, che a sua volta la riproduce e la rinforza.
Un circolo vizioso.
Nei 77 atenei italiani si registra una sola donna
rettore, presso l’Ateneo per gli stranieri di Perugia; tra i professori
e i ricercatori la presenza femminile nelle università non supera il
30%.
Se l'università si aprisse alle donne, e loro riuscissero a dare un contributo
al suo cambiamento, la riproducibilità dell'esclusione dai saperi e dai
luoghi decisionali perderebbe forse i caratteri dell'inesorabilità.
Vittorio Greco
3 dicembre 2004
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