Elezioni in Afghanistan: inchiostro, burqa e libertà |
L'ombra dei brogli non scalfisce l'importanza di un voto storico, in cui le donne "oggi scelgono il presidente, domani il marito"
Per la prima volta nella storia, l’8 ottobre 2004
il popolo afghano è andato alle urne per scegliere liberamente il proprio
presidente della Repubblica e i trentaquattro membri dei consigli regionali.
E soprattutto, a differenza di quanto continua a succedere in Arabia Saudita, i
seggi elettorali sono stati aperti anche alle donne. Queste elezioni
sono state attese con trepidazione, con un desiderio di libertà e di
autodeterminazione che il popolo afghano ha tenuto nascosto, quasi dimenticato,
per secoli. Non manca chi guarda con scetticismo il grande evento e crede che
la libertà sia solo un’illusione, che gli americani abbiano pilotato
il voto. Ma la stragrande maggioranza della popolazione sembra non curarsi affatto
dei risultati elettorali: per loro è importante quasi esclusivamente
il significato di queste votazioni, che siano libere solo sulla carta oppure
no. Fra le donne alcune votano con la piena consapevolezza della propria preferenza
politica, rivendicando il diritto di "scegliere
oggi il presidente e domani il proprio marito"; altre hanno capito
il valore delle elezioni solo grazie alle spiegazioni della sorella minore o
della figlia. Gli insegnanti hanno avuto un ruolo fondamentale in questo senso,
riuscendo a diffondere anche indirettamente nelle famiglie il senso del dovere
e del piacere di votare. L’entusiasmo, il desiderio di essere almeno uno
scarabocchio, invece che un oggetto insignificante come ai tempi della dittatura
dei talebani, ha prevalso al punto che gli afghani hanno subito trovato il modo
di gabbare gli scrutatori per votare più di una volta: l’inchiostro
indelebile con cui veniva tinto il pollice di chi aveva già votato, non
era indelebile per niente e spesso gli scrutatori hanno scambiato l’inchiostro
per il timbro con quello per contraddistinguere chi aveva già fatto il
proprio dovere civico. Le donne soprattutto hanno approfittato della situazione
visto che a loro era consentito registrarsi anche con il burqa e senza foto.
I brogli hanno fatto scoppiare uno scandalo in cui la
candidata donna alle presidenziali, Masusa Jalal, 41 anni, pediatra (che
purtroppo come presidente sembra non avere alcuna speranza), ha avuto un ruolo
fondamentale di mediazione fra chi, svelato l’imbroglio dell’inchiostro
(in)delebile, chiede l’annullamento delle elezioni per brogli, e chi pur
ammettendo l’inganno, non vuole fare passi indietro. Pur ammettendo la
presenza di brogli elettorali, la Jalal afferma che sarebbe un grave errore
invalidare le elezioni, un’offesa gravissima per il popolo afghano, la
delusione dell’entusiasmo che li ha guidati alle urne. Tra l’altro
l’Onu e l’Osce si sono già espresse favorevolmente sulle
elezioni e ne hanno sancito la validità. Tuttavia secondo la Jalal è
proprio nel rispetto del popolo che è necessario far luce sui brogli
elettorali, e se se ne occupasse una commissione interna, tutto ciò avrebbe
il sapore di una grossa presa in giro per gli afghani. La mediatrice ha proposto
invece di far condurre le indagini a una commissione di osservatori internazionali,
non coinvolti nella macchina organizzativa e sui quali, quindi, sarebbe difficile
fare pressioni di qualsiasi genere. Vai alla sezione "Donne e Islam" Elisabetta Affatigato
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