Un articolo di Valeria Ajovalasit
L’ingloriosa vicenda della fecondazione assistita
lascia nelle donne di questo Paese ferite profonde. Perché non
tutte le donne riusciranno forse ad appassionarsi agli scontri di potere della
politica o al dibattito sulla rinascita della “questione cattolica”,
ma una cosa la sanno misurare con certezza: la propria identità e dignità
di persona, dal momento che la vivono ogni giorno sulla loro pelle. E invece
si sono trovate di fronte a una legge che proprio questa dignità rimette
in discussione affondando i principi del pluralismo e della libertà di
coscienza che pure credevano fossero valori fondanti della loro storia. E hanno
visto con stupore che tutto questo è avvenuto senza una vera ricerca
su cosa vuol dire per una donna una maternità assistita. Cosa essa deve
affrontare, cosa mette in gioco della parte più profonda di se stessa.
La manifestazione del 24 gennaio, a Roma, intende ribadire
tutto questo. Dalla Sicilia verrà certamente
un segnale importante, poiché proprio in quest’Isola è sorto
uno dei primi centri in Italia per la fecondazione assistita. Fondatore era
stato il professore Ettore Cittadini, oggi assessore regionale alla Sanità.
Grazie a lui e al suo centro molte donne e non solo siciliane, hanno potuto
provare la gioia di essere madri. Anche per questo, forte sarà la presenza
della Sicilia all’appuntamento di Roma promosso da tante associazioni
e da quanti si contrappongono e si sono contrapposti a una legge tanto insensata.
Ha fatto impressione alle donne di questo Paese l’ignoranza,
la superficialità e anche l’arroganza con cui la maggioranza
parlamentare ha preteso d'interpretare i loro percorsi,
di codificare i loro bisogni imponendo coercizioni e mortificazioni che
non hanno trovato cittadinanza in paesi anche più cattolici del nostro.
Così come ha fatto loro impressione il silenzio di tante deputate e senatrici
che invece di dare voce alle ragioni di chi erano chiamate a rappresentare hanno
preferito compiacere le segreterie di partito preoccupate di conservare un posto
nelle prossime liste elettorali. E poi ci sono le ferite
di quante si apprestavano a vivere l’esperienza della fecondazione assistita
e sanno bene che d’ora in avanti o rinunceranno alla maternità
o saranno costrette a moltiplicare il calvario dei bombardamenti di ormoni,
la via crucis dei prelievi ripetuti. Con un esito ancora più incerto
di prima, in questa selva di divieti e proibizioni, e senza nemmeno la sicurezza
di una gravidanza senza problemi poiché la nuova legge proibisce perfino
gli esami preliminari sugli embrioni da trapiantare. Mentre aumenta il rischio
delle gravidanze plurime che crescono in modo esponenziale la possibilità
di handicap dei nascituri. Le donne dunque non potranno
che sentirsi colpevoli di chissà quale peccato, di chissà quale
delitto del loro desiderio di diventare madri.
Sono davvero profonde le ferite che la nuova legge lascia
sulle donne di questo Paese. E destinate ad allargarsi. Saranno migliaia
le coppie che ogni anno dovranno abbandonare la speranza della maternità,
altre migliaia – le più abbienti- quelle che dovranno migrare all’estero
per cercare di soddisfarla, sommando sacrificio a sacrificio. Numeri ben diversi
dai calcoli della politica.
Ma questo succede quando s’imbocca la strada dell’etica
di Stato che confonde i principi della religione con quelli del pluralismo e
della laicità e in nome di questa confusione espropria le donne dl diritto
di disporre del proprio corpo. “Parlano di etica e non sanno dei
nostri drammi”, dicono le donne di questo Paese quando riversano nelle
dichiarazioni raccolte dai giornali il peso della propria esperienza con la
fecondazione assistita, ma chi si è preoccupato di ascoltarle? Chi le
ha ascoltate tra i parlamentari “laici”, che invece sono andati
a ingrossare le file della maggioranza trasversale che ha approvato la legge?
C’è da augurarsi che tutta questa triste vicenda non sia solo il
banco di prova per andare all’assalto di altri diritti. I segnali ci sono
già e non sono rassicuranti.
Valeria Ajovalasit
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