La lezione di una grande donna |
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Due anni fa veniva assassinata Anna Politkovskaja, la giornalista russa che più di tutti ha saputo raccontare il dramma ceceno. Nei prossimi giorni dovrebbe partire il processo per stabilire chi e perché l'ha uccisa. Ma in molti scommettono che il suo omicidio resterà un giallo irrisolto
"Io vedo tutto, questo è
il mio problema. Vedo le cose belle e le cose brutte del mio Paese. Vedo la
gente che vorrebbe cambiare la propria vita ma non riesce a farlo e continua
a mentire a se stessa e agli altri." Così scriveva Anna
Politkovskaja, la giornalista russa uccisa a Mosca sulla sua porta di
casa da un killer spietato (e ancora latitante) il 7
ottobre del 2006.
A distanza di due anni la realtà della Russia intravista dalla coraggiosa
reporter di Novaja Gazeta sotto gli occhi di tutto il mondo: l'involuzione
autoritaria del potere, la retorica nazionalista e anti-occidentale che dilaga
sui mass-media, l'esaltazione della forza militare che viene celebrata da numerosi
striscioni per le vie della capitale, inneggianti all'eroismo dei soldati russi
nella guerra vittoriosa contro la Georgia.
Sì, dobbiamo ammetterlo: aveva visto giusto quella
signora timida e riservata, dai capelli precocemente ingrigiti e dallo sguardo
triste, quando professava tutto il suo pessimismo riguardo il futuro della Russia.Temo
l'odio che si sta accumulando in maniera incontrollabile, diceva con parole
che oggi risuonano come un'inquietante profezia. Non solo del proprio tragico
destino (aveva paura di essere assassinata e l'aveva confidato ai suoi amici)
ma più in generale della sorte del suo Paese, di una società che,
salvo rare eccezioni, confonde la propaganda con la realtà.
Ci manca, ci è mancata Anna Politkovskaja soprattutto in questa folle
e sanguinosa estate 2008. Lei che aveva coperto la prima e la seconda guerra
in Cecenia con puntigliosa caparbietà, senza fare sconti a nessuno, avrebbe
avuto molto da scrivere sul conflitto russo-georgiano, innescato dall'impulsivo
ed imprudente Saakashvili e trasformato da Putin, con abile e cinico tempismo,
in una saga guerriera dell'orgoglio ferito e della vendetta purificatrice. Anna
sapeva per esperienza diretta cosa fosse una guerra ma preferiva parlare non
tanto delle battaglie e degli scontri militari bensì delle sofferenze
della gente anonima, dei profughi, delle vedove e degli orfani che in varie
occasioni aiuta riparare in posti più sicuri. Eppure non riusciva a stare
lontano per troppo tempo dalle montagne del Caucaso, da quel Piccolo angolo
d'inferno(il titolo in italiano del libro appena uscito che raccoglie i suoi
reportages dalla Cecenia), un piccolo angolo che si sta pericolosamente allargando.
Nei prossimi giorni la magistratura di Mosca celebrerà lo scomodo anniversario
dell'uccisione di Anna Politkovskaja portando finalmente il suo caso in tribunale.
Sarà un processo dove sfilerà la manovalanza cecena insieme con
alcuni capi dei 'servizi deviati', mentre l'uomo accusato dell'assassinio
è fuggito all'estero.
La verità ufficiale è già bell'e pronta: chi ha voluto
eliminare la scomoda giornalista mirava a destabilizzare la Russia e a screditare
la leadership del Paese, come ha già dichiarato il procuratore generale
di Mosca. Una tesi sempre meno convincente. In attesa del verdetto c'è
qualcosa che il Cremlino potrebbe fare: rendere omaggio ad Anna Politkovskaja
dedicandole ulitsa Lesnaja, la centralissima via di Mosca dove l'inflessibile
reporter abitava e dove è stata uccisa."La sua morte ci ha
creato molti problemi, mentre da viva non era una persona molto influente"
fu il gelido commento di Putin. Dopo due anni, forse, sarebbe ora di emettere
un necrologio più rispettoso.
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