L'ex convivente di un capomafia del Gargano decide di parlare: in carcere 90 persone
“Dottore, sono stanca di vedere omicidi, agguati
e vendette nascere intorno al tavolo della mia cucina, mentre io preparo la
cena. Sono la compagna di un boss. Le racconto tutto quello che so, voglio
cambiare vita. Sono una donna potente: tutti mi rispettano, ma il prezzo è
troppo alto. Il passato non lo posso cambiare, ma ho 25 anni e posso ancora
sperare in un futuro diverso”.
Con queste parole una giovane donna foggiana, madre di quattro figli, si è
presentata alla direzione investigativa antimafia del Tribunale di Bari. Con
queste parole, la convivente di un capoclan di Sannicandro Garganico ha deciso
di rompere definitivamente con il compagno, con la propria famiglia, con la
propria cultura d’appartenenza, con il mondo violento della malavita pugliese,
insanguinato da trent’anni di faida. Con queste parole ha permesso ai
carabinieri del Ros di compiere una maxi retata e di sgominare un intero clan,
responsabile di atti di inaudita violenza: dal 1981, quando l’intera famiglia
Ciaravella (cinque persone, fra cui un bambino di cinque anni) fu trucidata
e data in pasto ai maiali, al 2003, quando i coniugi Maria Rinaldi e Michele
Mangiacotti furono assassinati sotto gli occhi dei due figli autistici.
Certo, ci vuole coraggio per mettersi contro i vendicativi boss della mafia
del Gargano, e questa donna ha dimostrato di averne a sufficienza. Ma il
coraggio non basta: ci vuole anche una buona dose di insofferenza verso la prepotenza
reiterata, di esasperazione e disgusto. Insomma, di tutti quei sani sentimenti
negativi che, quando si indirizzano contro fenomeni come la mafia, sono i benvenuti,
anzi andrebbero fomentati, alimentati, coltivati.
Il pm Seccia ha voluto così esprimere la sua gratitudine: “Un
grazie va alle donne, che hanno rotto vincoli familiari e di omertà e
hanno dato una grossa mano alla riuscita dell’operazione”.
Edoardo Zaffuto
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