In Germania, molte donne turche muoiono sotto i colpi di mariti e fratelli, in nome dell'onore
Il
disagio vissuto da chi emigra è all’origine della catena di omicidi
di donne turche in Germania. Un disagio che si amplifica fino a diventare
insostenibile, fino a generare l’assassinio di sorelle,
mogli e mamme. Gli assassini sono infatti mariti, fratelli, figli. Le
sorprendono in casa come Ramon S., affogata dal marito nella vasca da bagno,
o per strada come Stefanie C., pugnalata a morte; le strangolano come Meryem,
mamma di cinque figli; oppure le feriscono a morte al cranio, all’addome
e alla cassa toracica con diversi colpi d’arma da fuoco, come Hatun Surucu,
l’ultima delle donne assassinata a Berlino il 7 febbraio. Questi uomini
si contendono l’onore, il rispetto della tradizione e dei valori della
cultura islamica: intendono preservarla e difenderla dalle contaminazioni occidentali.
La donna è il pezzo debole di questa società: in madrepatria come
fuori. La donna, con quelle sue esigenze di emancipazione e di libertà,
in ogni luogo. Secondo Kahled Fouad Allam, è
la famiglia turca immigrata “il luogo in cui queste contraddizioni sono
vissute con estrema tensione e drammaticità, il luogo meno permeabile
al cambiamento in quanto più simile all’idea di clan o di tribù”.
Come scrive Don DeLillo in Rumore bianco, “Lì
deve esserci qualcosa che genera gli errori di fatto, “l’eccesso
di vicinanza, il rumore e il calore dell’essere. Forse anche qualcosa
di più profondo come il bisogno di sopravvivere. Il processo familiare
tende a escludere il mondo [...] il non sapere è lo strumento della sopravvivenza
[...] magia e superstizione si ossificano a diventare la poderosa ortodossia
di clan. La famiglia è più forte là dove è più
probabile che la realtà oggettiva venga malintesa”.
Nella foto, la locandina del film La Sposa
Turca di Faith Akin
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e violenza"
Rosanna Deleo
22 febbraio 2004
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