Democrazia e provocazione a Stoccolma |
There are no translations available. Nobel per la pace a Wangari Maathai, per la letteratura a Elfriede Jelinek Per il secondo anno consecutivo il comitato del Nobel ha premiato una donna, anzi due: l’anno scorso era toccato a Shirin Ebadi, l’avvocatessa e scrittrice iraniana premio Nobel per la pace; quest’anno il premio per la pace è andato all'ecologista kenyana, nonché deputato e viceministro dell'Ambiente, Wangari Maathai, mentre il massimo alloro letterario è stato assegnato alla scrittrice austriaca Elfriede Jelinek. Il Nobel ha voluto premiare la kenyana che si è battuta per un’Africa democratica e non si è lasciata intimidire nelle sue battaglie ambientaliste da regimi corrotti e dittatoriali, e in generale si è voluto premiare il contributo delle donne africane alla lotta contro le cause dell'impoverimento e delle guerre. La Maathai ha fondato nel 1977 il Green Belt Movement, facendo piantare oltre 30 milioni di alberi lungo il continente africano per lottare contro la desertificazione. Nonostante le numerose intimidazioni, periodi di detenzione e percosse nelle stazioni di polizia, la Maathai ha continuato imperterrita nella sua lotta per la democratizzazione del Kenia. Secondo lei, la causa ecologista è “un aspetto importante della pace. Piantiamo i semi della pace, ora e per il futuro”. La Maathai è anche un'ardente avvocato dei diritti umani. La deforestazione ha rappresentato un grave problema per il Kenia, che ha spinto milioni di persone nella povertà. Il Movimento della Cintura Verde fondata da Maathai non solo ha posto un freno a questo processo, ma ha anche dato lavoro a decine di migliaia di persone. L’assegnazione del premio Nobel per la letteratura alla Jelinek ha sconvolto tutta la Buchmesse, la fiera del libro che in quei giorni si teneva a Francoforte, ed è stata così motivata: “Per il fluire musicale di canto e controcanto nei romanzi e nei drammi che con straordinario ardore linguistico rivelano l’assurdità dei cliché della società contemporanea e il loro potere soggiogante”. Il suo libro più famoso s’intitola La pianista, pubblicato nel 1983, da cui Michael Haneke ha tratto anche un film, premiato a Cannes. La commissione ha scelto la provocazione, come quando il Nobel è andato a Dario Fo, perché la Jelinek non ha mai usato toni troppo dolci nel descrivere, o per meglio dire smascherare, la società austriaca. Ha sempre dipinto crudamente e spietatamente la rozzezza, la meschinità e l’avidità di una società solo esteriormente benpensante e quasi idilliaca, del presente (con particolare durezza nei confronti del governo di Haider) e del passato. Per questo motivo la Jelinek, femminista e iscritta al partito comunista austriaco dal ’74, è stata pubblicamente definita dal leader austriaco di estrema destra “persona non gradita” nel suo Paese. Un gradimento di cui la scrittrice sembra fare volentieri a meno, visto che non andrà neanche a Stoccolma a ritirare il premio a causa della sua agorafobia, o forse, molto più probabilmente, perché non ha alcuna voglia di essere premiata come fiore all’occhiello di un Paese che non ama e che non l’ama. Vai alla sezione "Donne e creatività" Elisabetta Affatigato
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