Donne, quando la laurea non basta |
There are no translations available. Secondo il "Global Gender Gap Report" del World Economic Forum per il 2007, l'Italia è scesa dal sessantasettesimo all'ottantaquattresimo posto, ultima in Europa e tra gli ultimi dei Paesi ad alto reddito. Gli elementi critici che determinano lo scarso punteggio italiano sono il basso tasso di occupazione femminile, le pochissime donne ai vertici, oltre a una limitata partecipazione femminile al potere politico. Cosa fare? >Dall'inizio del 2007, anno europeo delle pari opportunità per tutti, il dibattito sui temi dell'occupazione femminile e sulle sue potenzialità per la crescita economica si è rinvigorito. Le misure concrete sono tuttavia ancora poche e timide, sacrificate ad altre priorità (si vedano gli interventi ventilati nella Finanziaria su detrazioni per madri lavoratrici e asili nido rimasti poi in lista d'attesa). Ma i ritardi italiani nell'occupazione femminile richiedono maggiori attenzioni, altrimenti rischiano di accentuarsi. Ricordiamo che secondo il "Global Gender Gap Report" del World Economic Forum per il 2007, l'Italia è scesa dal sessantasettesimo all'ottantaquattresimo posto, ultima in Europa e tra gli ultimi dei Paesi ad alto reddito. Gli elementi critici che determinano lo scarso punteggio italiano sono il basso tasso di occupazione femminile, le pochissime donne ai vertici, oltre a una limitata partecipazione femminile al potere politico. La retrocessione è dovuta non tanto a un abbassamento dell'indice italiano, rimasto pressoché costante, ma dall'avanzamento degli altri Paesi. Una delle proposte più dibattute per intervenire a favore dell'occupazione femminile è quella della tassazione differenziata per genere, avanzata da Alberto Alesina e Andrea Ichino su questo giornale e ripresa sabato 19 gennaio. Michele Tiraboschi (22 gennaio) ha sottolineato che i problemi dell'occupazione femminile si inseriscono nel quadro più ampio delle difficoltà strutturali del mercato del lavoro italiano e richiedono interventi più comprensivi rispetto all'uso di incentivi fiscali, come proposto dai due economisti. È nostra opinione che i nodi irrisolti sul gap tra uomini e donne siano molti. Iniziano a scuola, per accentuarsi al momento dell'accesso nel mercato del lavoro ed ingigantirsi nelle progressioni di carriera. Per questo sono necessari più interventi. Cominciamo dall'istruzione. Scuola e Università: le critiche al nostro sistema formativo sono all'ordine del giorno. I risultati del sistema universitario italiano non sono certo tra i migliori. Se li misuriamo con riferimento al numero di laureati, la percentuale sul totale della popolazione è la più bassa dei Paesi europei, sia per gli uomini che per le donne. Anche se guardiamo ai più giovani, la differenza con gli altri paesi europei rimane ampia. Una novità, recentemente enfatizzata sulla stampa, è il sorpasso delle donne sugli uomini, con una percentuale di laureate pari al 12,7% contro un 11% maschile. Il sorpasso ci accomuna ad altri paesi europei e sembra suggerire che gli ostacoli all'istruzione femminile sono un ricordo del passato. Una nota positiva in una situazione generale critica? In realtà dati meno conosciuti ne svelano le ombre, che si annidano nel passaggio dalla scuola al lavoro. Solo il 75,8% delle donne italiane che si laureano lavora per il mercato, meno di quanto accada in tutti gli altri paesi europei. Gli altri paesi sembrano quindi più efficaci del nostro nel trasformare il capitale umano accumulato in capacità produttiva. Non solo, come è noto, i tassi di occupazione delle donne con bassi livelli di istruzione sono in Italia decisamente lontani dalla media europea. Questi dati mostrano che anche tra le laureate sussistono difficoltà occupazionali. E se guardiamo agli uomini? In Italia gli uomini laureati lavorano quasi tutti. La percentuale è inferiore solo a quella della Norvegia. Il capitale umano non utilizzato sul mercato è quindi tutto femminile. Il divario occupazionale di genere tra i laureati (15%) è inferiore a quello che si osserva sull'intera forza lavoro, dove è pari al 25% - ricordiamo infatti che il tasso di occupazione femminile è circa pari al 46% e quello maschile al 71%. Rimane tuttavia decisamente significativo, soprattutto se si considera il sorpasso nell'istruzione di cui si è detto sopra. In Italia c'è dunque un problema di scarsa istruzione, generale. Se ci concentriamo sul differenziale di genere, riteniamo che ci possa essere, per le donne, un problema di scelte di istruzione. Un maggior legame tra scelta dei corsi di studio e sbocchi occupazionali farebbe salire quel 75,8% che ci lascia ultimi in Europa. Ma c'è anche un problema di funzionamento del mercato del lavoro, soprattutto per le donne. Superato il momento storico in cui la divisione dei ruoli generava minori opportunità per le donne di accedere all'istruzione superiore, la divisione dei ruoli resta importante nel mondo del lavoro. La minor occupazione femminile, anche di laureate, può derivare da scelte all'interno della famiglia, ma anche dal comportamento delle imprese. Letteratura recente (Bjerk D. and Han S., 2007, Assortative Marriage and the Effects of Government Homecare Subsidy Programs on Gender Wage and Participation Inequality, Journal of Public Economics, vol.91, June) dimostra che, se le imprese attribuiscono una probabilità maggiore che a lasciare il posto di lavoro dopo la nascita di un figlio siano le donne piuttosto che gli uomini, anche a parità di caratteristiche individuali (talento e istruzione) offriranno loro un salario inferiore (differenziali salariali). Questo rende razionale la scelta della famiglia di rinunciare al lavoro femminile, anche nel caso di uomini e donne ugualmente istruiti, generando così i differenziali occupazionali. Un cambio di direzione all'interno delle imprese deve quindi accompagnare gli incentivi alle donne a lavorare di più e il maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli. È un cambio essenziale per poter trasformare il capitale umano femminile in produttività e crescita economica e per colmare il divario con gli altri Paesi europei. di Alessandra Casarico e Paola Profeta tratto da: www.ilsole24ore.it
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