There are no translations available. Mentre in Commissione alla Camera si discute una legge che punisce duramente l'infibulazione, la Regione Toscana si prepara a decidere su una proposta che riduce il danno fisico ma lascia immutato quello morale del rito. Fra i progressisti italiani c'è chi è pronto a legittimare una pratica barbara. La posizione di Arcidonna.
La proposta dell'infibulazione "soft", fatta da un ginecologo somalo
dell’ospedale di Careggi e su cui dovrà decidere la Regione Toscana,
sembra riscuotere consensi anche fra una parte dei laici e dei progressisti
italiani. Significative a questo proposito una lettera - pubblicata venerdì
30 gennaio su Repubblica - che la appoggia in nome del relativismo dei valori
e del rispetto di tutte le culture, e la risposta di Corrado Augias, che la
ritiene opportuna perché “male minore” utile a ridurre l’estensione
della pratica più invasiva, dannosa per la salute.
Queste posizioni possibiliste ci sembrano indice del
marasma senile in cui versiamo noi laici e progressisti, ormai dubbiosi anche
dei valori fondanti della nostra identità e pronti a mettergli accanto
con pari dignità le ragioni della barbarie.
Sarà un esito estremo del relativismo insito in ogni concezione laica,
sarà il senso di colpa che come cittadini del grasso primo mondo nutriamo
per l'esproprio e l'uso cinicamente strumentale che abbiamo fatto e facciamo
di risorse e culture dei paesi che non primeggiano nelle classifiche dei consumi,
fatto sta che ormai dubitiamo persino che sia il caso di difendere il diritto
di ciascuno all'integrità del proprio corpo, dell'individuo contro un'odiosa
sopraffazione del collettivo, dei deboli (ché tali sono certamente
le bambine) contro i forti (adulti e culture oppressive).
Se "non esistono Valori assoluti, Diritti assoluti", come sostiene
il lettore di Repubblica, perché non ridiscutere allora anche la Convenzione
di Ginevra, certamente frutto di illuministica presunzione, introducendo magari
la possibilità di una tortura soft, per rispettare questa tradizione
così praticata un po' in tutte le culture? Magari qualche graffio somministrato
in anestesia locale, quel tanto che basta per ricordare al prigioniero che il
suo corpo è in balia dei carnefici, rispettando così lo spirito
dell'usanza.
Sarebbe la stessa cosa dell'infibulazione “soft”, quel tanto di
manomissione, in anestesia locale, che basta ad ammonire le bambine che il loro
corpo appartiene alla tribù e alla famiglia e non a loro stesse.
A fronte dei nostri dubbi laicamente rispettosi, invece le organizzazioni di
donne e medici progressisti somali sono riusciti negli ultimi anni con il loro
impegno a ridurre la pratica dell'infibulazione di qualsiasi genere, nel loro
paese e fra i cittadini espatriati, in una misura che si aggira intorno al 50%.
Hanno fatto fare quindi passi da gigante ad una battaglia
umanitaria e civile, che noi europei rischiamo di delegittimare nel momento
in cui giustifichiamo la sopravvivenza in qualsiasi forma di un inaccettabile
rito di sottomissione.
|