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Arcidonna News Pari opportunità: le imprese norvegesi e la carriera negata nella Pa italiana
Pari opportunità: le imprese norvegesi e la carriera negata nella Pa italiana Print E-mail
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Nel paese dei fiordi 111 imprese rischiano di chiudere i battenti perchè nei loro consigli d'amministrazione la percentuale di donne è inferiore a quella prevista dalla legge sulle pari opportunità nell'industria. Da noi, invece, anche laddove le donne sono in maggioranza, come negli uffici pubblici, la parità di genere è un sogno: poche fanno carriera e tutte insieme guadagnano un terzo dei loro colleghi maschi.

Fosse applicata in Italia, Montezemolo e suoi potrebbero chiudere i battenti. E visto che tutto il mondo è paese, anche in Norvegia le cose non vanno per il meglio. Stiamo parlando della legge sulla parità di genere nell’industria che il governo norvegese ha approvato nel 2003 e che oggi rischia di far andare in fallimento 111 società. Il motivo? La legge prescrive che almeno il 40 per cento dei posti nei consigli d’amministrazione delle società sia riservato alle dirigenti donne. La maggior parte delle imprese si sono adeguate, altre (circa il 25 per cento) si sono rifiutate di ottemperare ai dettami normativi, in aperta protesta contro la decisione del governo.

Ma per questa sacca di resistenza ci sarà poco da fare: il ministro per le pari opportunità del paese dei fiordi Manuela Ramin-Osmundsen ha perentoriamente negato qualsiasi possibilità di mediazione. «La legge è chiara, rispetteremo le procedure», ha detto alla stampa. Insomma, la legge c’è e va rispettata. Anche perchè da quando è entrata in vigore, le donne dirigenti sono passate dal 6 per cento del 2001 al 37 per cento di oggi. Il che fa della Norvegia la nazione con le imprese più “rosa” al mondo.

Niente a che vedere con l’Italia, dove persino laddove le donne sono in maggioranza, la tanto agognata parità viene mortificata dai dati. Gli ultimi balzati all’onore delle cronache sono i dati dell’occupazione nella pubblica amministrazione. Ebbene, strano a dirsi, qui le donne coprono la maggior parte dei posti disponibili. Peccato, però, che solo il 18 per cento di loro è dirigente di prima fascia e il 33 per cento di seconda fascia. Insomma, le donne nella Pa sono tante, ma nonostante ciò non riescono a fare carriera. Lo dimostra anche il fatto che, a conti fatti, le donne gudagnano meno dei loro colleghi maschi: basti guardare agli incarichi aggiuntivi, che portano il 71 per cento del totale dei compensi nelle tasche degli uomini.

Per questo, Beatrice Magnolfi, sottosegretario per le Riforme e l'Innovazione nella Pubblica amministrazione, ha recentemente elaborato la “Direttiva sulle misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche”. «La direttiva – spiega in un’intervista al quotidiano “Il Tempo - tenta di coniugare la necessità di innovare con quella di favorire l'accesso delle donne ai livelli più alti, facendo rispettare innanzitutto la presenza di un terzo di donne nelle commissioni di concorso o nei nuclei di valutazione della carriera o per gli incarichi aggiuntivi. Inoltre, spinge per l’introduzione di modelli organizzativi per facilitare lavoro e vita privata con telelavoro o part-time reversibili o job-sharing per i livellli più alti. Infine, mette in vigore i "moduli di genere" nella formazione dei dirigenti». Chissà se la direttiva avrà un buon esito. Soprattutto, chissà se la direttiva verrà rispetta. Perchè si sa: qui siamo in Italia, mica in Norvegia.
3 gennaio 2008


 
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