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Arcidonna News Stipendi, donne col 30% in meno degli uomini
Stipendi, donne col 30% in meno degli uomini Print E-mail
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Ricerca di tre istituti europei sulle retribuzioni dei dipendenti privati. In Italia differenze tra i sessi in busta paga più forti che in Francia e Spagna.

Non conta la bravura e nemmeno l'anzianità. Non conta il risultato ottenuto, tantomeno l'efficienza dimostrata. Conta il sesso: se sei femmina guadagni di meno. Che sia tratti di "donne in carriera" o impiegate, di quadri o di operaie il risultato non cambia: in busta paga, alle dipendenti, è riconosciuto un "valore" inferiore rispetto ai colleghi maschi. Le cose vanno così in molti paesi, ma in Italia lo scompenso è più forte che altrove. Qui - almeno nel settore privato - la differenza media è del 28,7 per cento, in Spagna è del 26,9, in Francia scende al 14 e mezzo.

Essere donne, dunque, non "paga". Lo dimostra un'indagine condotta, con gli stessi criteri, in tre diversi paesi europei da tre diversi istituti (l'Msm per la Francia, Icsa e Labor per la Spagna, l'Od&M per l'Italia). La parità salariale è, dappertutto, un lontano miraggio, ma nel paese dove l'occupazione femminile è al di sotto degli standard e dove le donne ai vertici sono ancora considerate "simpatiche eccezioni" il gap lievita. Su quel 30 per cento di divergenza pesa il fatto che nel nostro paese vi è solo una minoranza di donne che lavora fuori casa (il 45,1 per cento, la quota più bassa nell'Europa a 15) e che nella stragrande maggioranza dei casi quella minoranza è ancorata ai livelli bassi della scala gerarchica: in Italia è di sesso femminile solo il 9,6 dei dirigenti e il 17,2 dei quadri. Il peso cresce solo se si approda alla categoria impiegati (36,3 per cento sul totale), dove trova collocazione la maggior parte delle lavoratrici. In Francia e in Spagna le quote ai vertici sono diverse e anche questo fa sì che il "valore" assegnato al lavoro femminile e maschile sia più riavvicinato.

Al dì la del peso delle quote, comunque, all'interno delle singole categorie le differenze restano rilevanti: le dirigenti italiane guadagnano in media l'8,6 per cento in meno rispetto ai colleghi maschi, nelle donne "quadro" la differenza di riduce al 3,7, ma nella fascia impiegatizia (più penalizzata anche in generale rispetto al potere d'acquisto) risale al 12,3, per limitarsi al 5,2 nella categoria operai.

Le cifre contenute nel Rapporto sulle retribuzioni in Italia appena pubblicato dall'Od&M non lasciano spazio ad equivoci. In Italia, nel 2005, se il dirigente medio ha potuto far conto su una retribuzione lorda annua di 94 mila euro, la collega femmina ha superato appena gli 86 mila. Fra i quadri si va dai 48 mila circa maschili ai 46 mila femminile. Negli impiegati il gap va dai 26 mila ai 23 mila annui circa, tra gli operai dai quasi 21 mila ai quasi 20 mila. Vi è qualche sottile differenza a livello territoriale - generalmente il Nord-Ovest tratta un po' meglio le donne - e di settore (nell'industria le differenze sono meno rilevanti rispetto al commercio, turismo, servizi) ma non vi è una sola eccezione che sovverta la regola: le variabili si possono incrociare in mille modi, comunque sia le femmine guadagnano, in media, meno dei maschi.

L'unico elemento di consolazione, se così si può dire, è che nella categoria dei "maltrattati" le donne sono in buona compagnia. Al di là delle differenze di sesso, infatti, è stato il potere di acquisto di intere categorie ha cedere il passo. Fra il 2001 e il 2005, se il reddito reale di dirigenti e quadri è più o meno riuscito a difendersi dall'inflazione e quello degli operai è rimasto fermo, fra gli impiegati (dove le donne sono più rappresentate che altrove) il costo della vita ha fatto segnare un netto meno 5,8 per cento. Peggio di tutti è andata ai giovani laureati: quelli con una esperienza lavorativa fra i 3 e i 5 anni, dal 2001 ad oggi, hanno visto crollare il loro reddito reale del 14,6 per cento.

da La Repubblica - 21 marzo 2006

 

 
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