There are no translations available. Per aumentare l'occupazione femminile occorrono politiche dei servizi più concrete, scardinare i vecchi stereotipi, avvicinarsi sempre più all'Europa.
Nel dibattito su come promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro - avviato dalla proposta-appello di Alessandra Casarico e Paola Profeta - vanno affrontati due quesiti importanti. Un primo quesito riguarda quali politiche possano essere più "efficaci" a incrementare l'occupazione femminile. I suggerimenti contenuti nell'Agenda di Lisbona per raggiungere il target del 60% riguardavano incrementi del numero diposti nido disponibili fino a raggiungere la soglia del 33% e incrementi della disponibilità di lavori a orari part-time.
In Italia, come viene citato negli articoli di Casarico e Profeta (si veda «Il Sole-24 Ore» del 21 e del 23 gennaio)
il numero di asili nido è tra i più bassi d'Europa, nonostante un lieve aumento negli ultimi anni che però ha lasciato le regioni del Sud in una situazione di quasi assenza del servizio.
Il rapporto tra posti asilo e numero di bambini nella fascia di età 0-3 anni è infatti inferiore al 10% contro circa
il 50% in Danimarca e il 35-40% in Svezia e Francia. Anche l'offerta di asili sul posto di lavoro è più bassa in Italia che in altri
Paesi, visto che ne beneficia solo il 2,6% dei lavoratori rispetto al 15% in Olanda e al 6% in Francia e Belgio, come mostrano i dati dello European Community Household Panel. I costi degli asili invece sono relativamente più elevati dato che i sussidi pubblici sono più bassi in confronto a quelli offerti in altre nazioni. L'Italia, infatti, si posiziona all'11° posto nella Ue a 15.
Le ricerche che hanno studiato l'impatto di un incremento di posti asilo sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro mostrano che per arrivare al
target di Lisbona l'incremento di asili nido dovrebbe essere tale da far raggiungere i livelli della Francia in rapporto alla popolazione di bambini in età
da nido (cioè circa il 40%). Il numero dei posti di lavoro part-time dovrebbe raggiungere invece, come quota sull'occupazione, i valori della Gran
Bretagna. La strada avviata dall'ultima Finanziaria è dunque nella direzione giusta, ma ancora troppo limitata come entità.
Tuttavia nell'analisi delle politiche si pone un secondo quesito anche più importante, che nasce dalla preoccupazione che in Italia non solo i tassi di
partecipazione femminili sono tra i più bassi d'Europa, ma anche i tassi di fertilità. Si tratta allora di pensare a politiche che incoraggino
l'occupazione femminile senza disincentivare la fertilità. Secondo stime effettuate sui dati del Panel europeo e sul Panel della Banca d'Italia (si veda
il sito www.child-centre.it) sia incrementi della disponibilità di asili nido e dei lavori part-time sia riduzioni delle aliquote marginali hanno un
effetto positivo sulla partecipazione femminile e anche sulla fertilità altre politiche possono avere effetti più ambigui. Per esempio, gli assegni familiari e altri bonus alle famiglie nonché politiche che riguardano i congedi parentali.
Nel caso di questi ultimi una maggiore generosità dei congedi (in termini
sia di durata sia di percentuale di salario ricevuta durante il congedo) può incoraggiare la fertilità ma con effetti potenzialmente negativi sull'occupazione. Questo risultato può essere spiegato dal fatto che i datori di lavoro
sono meno propensi ad assumere donne se i periodi di assenza dopo la nascita dei figli diventano più lunghi. Inoltre lunghe assenze della lavoratrice
possono avere un impatto negativo sulla sua accumulazione di capitale umano, con penalizzazione del suo salario, il che può rendere difficile il rientro delle donne che hanno lasciato il lavoro dopo aver avuto un figlio.
Vanno invece pensate politiche di incentivo per i padri: anche in Italia i padri possono prendere il congedo parentale, il problema è che non lo fanno. D'altronde è una scelta conveniente sul piano economico visto che in media guadagnano ben più delle madri. Queste considerazioni implicano l'importanza e l'urgenza di politiche che contribuiscano a ridurre il costo dei figli ma anche a ridurre la differenza tra i "costi-opportunità" di essere madri e padri (si vedano, per esempio, i suggerimenti di politiche a costo zero per le famiglie su lavoce.info). D'altronde come mostrano recenti studi su dati comparati (come quelli di Raquel Fernandez e Alessandra Fogli, di Yann Algan e Pierre Cahuc e di Nicole Fortin), fattori culturali e una divisione
del lavoro ancora tradizionale costituiscono un vincolo rilevante alla crescita dell'occupazione delle donne nei Paesi del Sud Europa.
* Child e Collegio Carlo Alberto
IL SOLE 24 ORE - 6 febbraio 2007
Lavoratrici, ma anche madri - di Daniela Del Boca*
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