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Essere donne in Arabia Saudita Stampa E-mail
Da un reportage di Adriano Sofri su La Repubblica

“Essere donne in Arabia Saudita” è il titolo dell’articolo di Adriano Sofri pubblicato il 31 ottobre scorso su La Repubblica. Il titolo forse non è molto originale, ma l’articolo in sé è a dir poco inquietante. Perché Sofri non parla solo della, purtroppo ormai ben nota, sostanziale negazione dei diritti civili alle donne in Paesi come l’Arabia Saudita, ma mette a nudo la meschinità dell’inganno, dei giri di parole e delle promesse al vento con cui il riconoscimento dei diritti minimi alle donne continua ad essere rinviata. Le donne arabe, infatti, non possono votare per il semplice fatto che secondo la legge “ogni cittadino” ha diritto di voto. E qui una contraddizione che per un occidentale non sussiste, per un arabo è evidente: la legge parla di “ogni cittadino”, ma nessuna menzione viene fatto in merito ad “ogni cittadina”!
Addirittura il principe responsabile della commissione elettorale afferma che l’Arabia darà sicuramente il voto alle donne, ma solo dopo che un’indagine ne avrà verificato l’effettiva utilità. A cosa potrebbe infatti servire il voto di un essere non abbastanza resistente, robusta e tanto meno in grado di concentrarsi (anche se, guarda caso, il numero delle laureate in informatica è di tre volte maggiore rispetto a quello degli uomini), incapace perfino di guidare una macchina “anche con il cambio automatico”? I più “progressisti” riescono ad accettarlo solo in virtù del fatto che, guidando la macchina, una donna non importunerebbe più di tanto il marito, consentendogli di riconoscersi pienamente nel suo ruolo di padrone di casa, e non di autista. Eppure, quando nel 1990 quarantasette donne hanno percorso per mezz’ora le strade di Riad, furono arrestate e private dei diritti civili. Lecito domandarsi: quali diritti civili?

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Elisabetta Affatigato
3 novembre 2004

 
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