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Al di là dei risultati finali, il solo fatto di poter partecipare ai giochi olimpici è per loro una vittoria straordinaria: ecco le atlete musulmane

Tra le atlete approdate ad Atene per le Olimpiadi, c’è chi si concentra tanto sui muscoli quanto sul look, essendo fondamentale salire sul podio, fosse anche solo come Miss Giochi. Per qualcun’altro, invece, l’importante è davvero solo partecipare. Con o senza chador. Roqaya Al Ghasra, sprinter del Bahrain, ad esempio, lo indosserà ad ogni costo, anche se questo dovesse funzionare da paracadute e quindi penalizzarla durante la gara. Roqaya vuole sfidare le leggi dell’aerodinamica con le sue gambe, la sua fede e la benevolenza del suo re, e migliorare il suo record personale.
Stesso obbiettivo per la piccola Ala Hikmat Jasim, diciannove anni, la sola atleta irachena presente alle Olimpiadi 2004. Ma non l’unico. Lei che è cresiuta in uno dei quartieri più miseri di Baghdad, che ha vissuto in prima persona gli orrori del governo iracheno così come di quello americano, vuole mostrare a tutto il mondo il nuovo volto dell’Iraq, il volto dei giovani che vogliono vivere nella pace e vincere per la pace. Non è facile correre tra le macerie e guardare solo avanti, mai indietro. Non è facile, ma qualcuno, come lei, per fortuna lo fa.
Le uniche due atlete afghane, la judoka diciassettenne Friba Razayee, e la sprinter diciottenne Rubina Mugimyar, sotto la dittatura dei talebani si sono allenate quasi di nascosto, privandosi malvolentieri del burqa, su una pista riservata alle donne e lontana da quella maschile. Per andare avanti, per guardare al di là dell’incubo.
Anche per Sanaa Bkheet, la prima donna palestinese a partecipare ai giochi olimpici, non è stato facile arrivare ad Atene: dopo la distruzione della pista di atletica della striscia di Gaza durante un bombardamento si è allenata per tutto l’inverno sulla spiaggia o sull’asfalto, cercando di schivare le pietre tirate dai bambini che imparano presto a disprezzare chi ritiene che c’è ancora tempo per essere solo moglie e madre. Il suo coraggio e la sua abnegazione sono state premiate già prima della gara: la Nike ha regalato a Sanaa il suo primo paio di scarpe da corsa professionali, visto che le carenze del suo equipaggiamento ultimamente avevano fatto, attraverso la stampa, più chilometri di lei.
Alcuni Paesi mostrano un’apertura alla partecipazione femminile ai Giochi ancora molto, troppo timida: il Kuwait quest’anno apre ufficialmente le porte olimpiache per la prima volta alle donne con la velocista Danah Al Nasrallah; di altre atlete invece, come la siriana Zeinab Bakour, si conoscono solo l’altezza, il peso, la specialità e che in qualche modo gareggeranno, anche se, fino all’ultimo momento, sono rimaste quasi delle entità astratte. L’Egitto ha “addirittura” dato via libera a Heba el Gawad e Salama Ismail, per il nuoto sincronizzato, che gareggeranno con il costume regolamentare, avendo qualche difficoltà a farlo vestite, ma espieranno la loro “colpa” leggendo alcuni versetti del corano prima di entrare in piscina.
Le Olimpiadi di Atene sembrano essere considerate un ottimo trampolino di lancio per trasmettere un messaggio di pace e di libertà attraverso lo sport in un momento così travagliato e confuso della storia mondiale: e le donne ce la metteranno tutta.

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17 agosto 2004
Elisabetta Affatigato

 

 
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