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Donne kamikaze, mostruoso risultato di violenze subite e ricatti

I gravi attentati ceceni ci hanno ormai tristemente abituati a vedere anche delle donne fra i kamikaze: sono le shakhidki, le martiri. Come può una ragazza, una potenziale madre, farsi saltare uccidendo decine di bambini innocenti, com’è accaduto recentemente nella scuola di Beslan? Può l’ideologia, l’anelito indipendentista, il fanatismo religioso portare a tanto? No, certo che no. E scavando sotto l’orrore, affiorano nuovi insospettati abissi di orrore. E si scopre che le carnefici sono state a loro volta vittime. Moltissime hanno subito violenze sconvolgenti: la perdita del marito, dei fratelli, del padre. I guerriglieri ceceni quindi le arruolano usando i vincoli familiari come pressione psicologica. Oppure, vanno in missione suicida per “purificarsi” dopo essere state violentate dai soldati russi. Altre ancora vengono ricattate e obbligate ad arruolarsi, o persino vendute al terrorismo. È questo il caso di Raisa Ganieva, 20 anni, che ha chiesto protezione alle forze di sicurezza russe rifiutando di trasformarsi in kamikaze. Suo fratello Rustam, seguace del capo guerrigliero Shamil Basayev, l’aveva offerta come suicida per una somma di circa 3.000 dollari, lo stesso prezzo che aveva ricevuto per il sacrificio delle sue altre due sorelle, Fátima e Milana, morte nel teatro Dubrobka di Mosca. Non mancano casi personali di violenza, come quello della giovane Zelikhan Elikhadzhieva, di 19 anni, che nello scorso luglio si fece esplodere a Mosca uccidendo 14 persone in un concerto di rock. Rapita e violentata da un fratellastro guerrigliero, ridotta né più né meno di una schiava, fu obbligata al martirio sotto minaccia. È fuori di dubbio che un terrorista non ha alcuna attenuante, anche se è donna, e la nostra condanna morale è chiara e inequivocabile. Questo articolo è semplicemente una denuncia dell’ennesima violenza che le donne hanno a loro volta subito, da parte di uomini. Russi o ceceni che siano.

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14 settembre 2004 Edoardo Zaffuto

 

 
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