Assemblea nazionale Arcidonna. Roma, 7 novembre 2004
Le donne sono al centro dei problemi del tempo che viviamo e determinanti per
le loro soluzioni. Non solo lo sono, ma ormai c’è anche una percezione
diffusa di questa realtà. La stessa attribuzione del Nobel per la pace,
per due anni di seguito, a donne impegnate in battaglie fra le più difficili
che il mondo ha davanti, lo indica. Amartya Sen sostiene che “nell’economia
politica dello sviluppo niente ha un’importanza pari a quella di un riconoscimento
adeguato della partecipazione e della funzione direttiva, politica, economica
e sociale, delle donne. Si tratta di un aspetto davvero cruciale dello
sviluppo come libertà”.
C’è poi chi ritiene che il vero nodo della guerra dichiarata dal
terrorismo islamico all’Occidente sia la questione della libertà
femminile e chi afferma che sviluppo e benessere si giocano sul pieno coinvolgimento
delle donne nella produzione e nella creazione della ricchezza. Insomma, consapevolmente
o no, chi è più attento al tema di un
futuro sostenibile si aspetta molto dalla parte femminile dell’umanità:
in definitiva, che il suo ingresso a pieno titolo nella vita pubblica possa
rimediare ai guasti prodotti da una cultura patriarcale che ha affidato interamente
agli uomini la decisionalità collettiva. È anche opinione diffusa
che la maggiore eredità storica del Novecento sia la rivoluzione avvenuta
nella condizione delle donne (nei paesi più sviluppati).
Tuttavia (e forse anche in virtù delle conquiste ottenute) è
lontano il tempo del movimento delle donne con istanze comuni e coinvolgenti:
le donne come soggetto collettivo sono un tema “freddo”, tanto da
chiedersi se ha ancora senso un movimento o un’organizzazione che abbia
ad oggetto i loro problemi, i loro temi, le loro istanze e possa esprimere una
voce comune.
La nostra esistenza come associazione poggia sull’idea che non solo abbia
senso, ma sia ancora – e forse più di prima – necessario.
A partire dai grandi temi che costituiscono le coordinate della nostra identità
e della nostra azione:
- la condivisione della decisionalità pubblica;
- la piena possibilità di lavorare in condizioni di parità
e di salvaguardia della sostenibilità della vita;
- i diritti di libertà e il rispetto delle differenze, la laicità
dello stato come garanzia per le scelte individuali.
Vogliamo discuterne non partendo da posizioni precostituite, ma da alcune domande
che ci sembra necessario porsi all’interno di questi grandi temi per costruire
un’alternativa per le donne e per gli uomini del nostro paese, in un quadro
europeo che riesca ad esprimere una politica di pace comune.
- Che cosa ci insegnano, rispetto non solo ai loro paesi, ma ai problemi del
mondo, Shirin
Ebadi e Wangari
Maathai, le due donne, una iraniana l’altra kenyota, a cui
è stato attribuito il Nobel per la pace negli ultimi due anni?
- Il patriarcato sembra tutt’altro che morto. Non lo è certamente
nella cultura islamica, ma neppure in Occidente. Però annaspa di fronte
alle nuove realtà del mondo e i suoi colpi di coda tendono a trascinarci
verso soluzioni distruttive di portata inimmaginabile.
Da una parte il bellicismo americano alimentato dal conservatorismo, religioso,
di Bush, dall’altra il terrorismo islamico sostenuto da un fondamentalismo
estremista ancor più feroce. Il patriarcato in pieno marasma
senile non ha soluzioni positive per i problemi di oggi né per un futuro
sostenibile. Come amplificare la voce delle donne, come farle diventare soggetti
e non solo oggetti del discorso? Quali sono i mattoni su cui costruire una
cultura diversa, segnata dalla libertà e dal senso femminile della
comunità?
- Nei paesi sviluppati di cultura occidentale abbiamo a che fare con i problemi
di un mondo “postnaturale”. Il problema dei diritti e delle libertà
si è profondamente modificato: dalla fecondazione
assistita, all’uso delle cellule staminali, alle famiglie omosessuali,
ogni giorno si pone il problema di una nuova definizione dell’uguaglianza,
dei diritti e della libertà. Da dove partire per “una nuova idea
di democrazia legata alle possibilità evolutive della specie”
(come la definisce Aldo Schiavone sulla Repubblica del 9 ottobre)?
- Economia e welfare. “L’indicatore supremo
della crescita, il PIL, diventa insignificante quando la crescita dei beni
(economici) è pareggiata dalla crescita dei mali (sociali)”.
È “patetico l’universale affannarsi attorno alle variazioni
impercettibili, di zero virgola, di un PIL bugiardo”. “Le società
ricche hanno bisogno d’una nuova stella polare, non fittizia: anzi di
una costellazione, che rappresenti il reale stato della società nei
termini delle principali componenti del benessere, non solo di quelle strettamente
economiche”. Sono parole di Giorgio Ruffolo. Ci sembrano molto interessanti:
le donne sanno bene che per far funzionare una comunità ci vuole anche
altro (relazioni, identità, cultura, attenzione umana). Si può
abbattere il primato del PIL?
- Formazione, ricerca, innovazione. Sembrano
le chiavi senza le quali non si accede alla ripresa dello sviluppo del nostro
paese. Dal presidente della Repubblica a Confindustria, il coro è unanime,
ma le risposte della politica non conseguenti o addirittura contraddittorie.
È noto che l’Italia spende pochissimo per la ricerca e l’innovazione,
mentre, d’altra parte, il sistema dell’istruzione sembra impoverire
i suoi contenuti culturalmente fondanti in favore di pratiche settorializzate
che tuttavia non riescono a stringerene il legame con il mondo produttivo.
E poi, come si fa a stare nella “società della conoscenza”
e a valorizzare la maggiore risorsa, anche economica, del nostro paese –
i beni culturali – quando l’istruzione svalorizza la cultura per
inseguire la chimera della scuola-azienda? Mentre, fra l’altro, è
opinione diffusa nel mondo imprenditoriale che i migliori quadri e i migliori
manager siano quelli di formazione umanistica?
Riguardo alle donne: sono pochissime nei piani alti
dell’università e della ricerca, anche se sono le più
brave negli studi. Cos’è che non funziona nei meccanismi selettivi?
- Occupazione: il problema dello sviluppo del paese e il problema dell’occupazione
investono direttamente prima di tutto le donne. C’è ancora un
forte problema di disoccupazione femminile nel Mezzogiorno. Quali azioni
positive? E come si colloca in questo quadro la realtà del lavoro flessibile?
Per le donne è una possibilità (e necessità) con aspetti
positivi, ma è anche – per tutti - una minaccia alla possibilità
di una vita programmabile. Come giungere ad una flessibilità
amica?
- Ormai l’insufficiente presenza delle donne
nelle sedi della decisionalità politica, istituzionale ed economica
viene avvertita come sintomo negativo nell’assetto democratico dei paesi
occidentali. Passi avanti se ne sono fatti molti, tuttavia la forza d’inerzia
e la resistenza degli uomini politici a cedere potere rendono il processo
troppo lento rispetto al cammino veloce della storia. Come continuare la battaglia?
Come valorizzare il contributo femminile nel mettere insieme politica diffusa
nella società e vicina ai bisogni e suo risvolto sul piano politico
legislativo e di rappresentanza istituzionale?
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