Lavorano di più, dormono di meno, sono di servizio anche la domenica, tutte le domeniche dell'anno. Interpreti di questo stakanovismo di massa non sono gli immigrati, ma le donne italiane. Tra ufficio, casa e figli, sono mediamente impegnate nove ore al giorno. Come le donne, del resto, sanno benissimo. Gli uomini lo sanno un po’ meno
Ma i dati non lasciano dubbi. L'Istat li ha raccolti in un volumetto nello scorso settembre, dal titolo beneaugurante “Conciliare lavoro e famiglia”, e non ammettono replica: trattandosi di indagini campionarie, quei dati sono stati forniti dai diretti interessati, cioè noi. E, dunque: fra lavoro a casa e in ufficio, le donne iniziano prima, finiscono dopo, dormono meno degli uomini e delle altre europee, hanno meno tempo libero. Si sudano la giornata sette giorni su sette, senza staccare mai, neanche al weekend. Nessuna di loro, quanto torna dall'ufficio, si sbatte in poltrona, senza più muovere un dito. Mentre così fa un italiano (maschio) ogni tre. Basta questo per respingere l'idea che anche le donne restino al lavoro cinque anni di più, rinviando la pensione agli stessi 65 anni degli uomini, come Brunetta e altri sono tornati a proporre? A discuterne, anche fra loro, sono, per prime, le donne. E, allora, vediamo com'è la situazione.Anzitutto, il superlavoro al femminile non è un'anomalia tutta italiana. Gli studiosi registrano che in nessun paese, neanche in quelli in cui la parità uomo-donna (come in Scandinavia) è più spinta, ci sono state davvero, in questi ultimi decenni, trasformazioni radicali nella divisioni dei compiti fra l'universo maschile e quello femminile. Ma in Italia è peggio. Ed è inutile invocare l'esposizione solare, tradizioni antiche, la latitudine in genere, insomma, la cultura mediterranea. La situazione della donna nella società, in ufficio, a casa, risulta peggiore in Italia, anche rispetto ad altri paesi maschilisti e mediterranei, come Spagna e Grecia. L'Istat ha provato a misurare le differenze rispetto all'Italia di 15-20 anni fa, ma sono minime. E la politica accompagna, in piena sintonia, questo guardare indietro: l'Italia è all'ultimo posto, in Europa. Anche nei pacchetti di aiuti per i figli, sia in termini di denaro che di servizi offerti, dall'asilo nido al tempo pieno a scuola. A pagare questo mix politico- sociale-culturale- economico non sono solo le donne, ma tutti noi. Il primo effetto di questo sovraccarico è, infatti, che sono di meno, rispetto agli altri paesi, le donne che se la sentono e/o riescono ad andare a lavorare fuori casa. Il numero di persone che, in Italia, lavora, in fabbrica o in ufficio, rispetto a quelli in età per farlo (gli economisti lo chiamano il tasso di attività e comprende anche i disoccupati) è infatti il più basso d'Europa, Malta esclusa: solo sei italiani su dieci hanno una busta paga o sono disoccupati. In Europa, in media, sono sette su dieci. Ma la differenza è tutta una questione di sesso. Il tasso di attività degli uomini, più o meno, è in linea con la media europea. Sono le donne a risultare più inattive del resto del continente. Ovvero, a lavorare solo a casa. Da noi, questo è vero per la metà delle donne. In Europa, solo per un terzo. Questa esclusione non avviene gratis, anzi, costa parecchio. Esattamente 260 milioni di euro ogni anno. Di tanto il paese sarebbe più ricco, se le italiane andassero in fabbrica o in ufficio quanto gli uomini. La Banca d'Italia calcola, infatti, che il il Pil, il prodotto interno lordo, sarebbe più alto di oltre il 17 per cento l'anno.
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