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Arcidonna News Afghanistan: una donna contro i signori della guerra
Afghanistan: una donna contro i signori della guerra Print E-mail
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Leggiamo da Unimondo.org, Internet per i diritti umani e lo sviluppo sostenibile "One World Italy" questo interessante articolo di Maria G. Di Rienzo

Molti afgani che hanno votato per Hamid Karzai, attuale presidente del paese, hanno creduto alla sua promessa elettorale di indebolire i signori della guerra. Sfortunatamente, Karzai ha scelto quale capo militare del suo staff Dostum, signore della guerra dell'Alleanza del Nord, mentre un altro di questi figuri, Ismail Khan, è diventato ministro dell'energia. L'ambasciatore statunitense, Zalmay Khalilzad, ha commentato: "La decisione di Karzai, di dare un ruolo ad uomini forti su base regionale, è una politica saggia". Ma le mani di Dostum e Khan grondano sangue, secondo i rapporti che pervengono alla Commissione Indipendente afgana per i diritti umani, che ha da poco diffuso il suo rapporto "Un appello per la giustizia", in cui tra l'altro migliaia di cittadini afgani chiedono giustizia per i crimini perpetrati dai vari signori della guerra. Dove fino all'altro ieri hanno governato Ismail Khan (Herat, nell'Afghanistan occidentale) ed il terrore del fondamentalismo le donne si vedono raramente per strada, e nel caso straordinario appaiano in uno spazio pubblico sono coperte dalla testa ai piedi dai burqa da cui gli altri signori della guerra, gli Usa, ritenevano di averle liberate a colpi di bombe e carri armati.

Le donne ex esuli in Pakistan, tornate ad Herat, dichiarano di sentirsi meno sicure a casa propria che nei campi profughi. Sono tornate a dimore distrutte, o a proprietà confiscate dai signori della guerra, in zone dove non è possibile per loro mostrarsi in pubblico, e figuriamoci trovare un lavoro: Anor Gul è una di esse, una trentenne madre di cinque figli che ora vive con i bambini in una singola stanza, e non sa come sopravvivere, nè cosa dar da mangiare ai propri piccoli. Durante l'intervista che ho potuto visionare, è scoppiata in lacrime quattro volte. Non ci sono opportunità d'impiego per una donna: dalla caduta dei Talebani al 23 gennaio 2005, solo il 2, il 3% delle donne afgane sono riuscite a tornare al lavoro o a trovarne uno (statistiche Onu).

A Kabul vi sono corsi di cucito e ricamo per le donne, ma quando l'apprendimento è terminato, le studenti non hanno spazio o modo di vendere i loro prodotti: i sarti professionali, in città, sono uomini. Inoltre, sempre secondo i dati dell'Onu, l'Afghanistan continua ad avere uno dei più alti tassi di mortalità materna durante il parto; nella regione del Badakshan, muore una partoriente su quindici. Non ci sono medici, non ci sono cliniche, non c'è nessuno oltre alle organizzazioni femminili come Rawa che si interessi di queste donne e delle bambine, che nelle aree rurali non hanno opportunità di andare a scuola, in un paese ove comunque la maggior parte delle scuole ha un curriculum di studi limitato al Corano (proprio come durante l'era dei Talebani, con la differenza che allora lo studio era riservato ai bambini maschi) e in cui il tasso di alfabetizzazione negli adulti è uno dei più bassi del mondo (28,7%).

Mentre la nuova Costituzione afgana dichiara il diritto alla libertà di stampa, i giornalisti di Kabul che hanno osato mettere in luce le passate azioni criminali dei signori della guerra vengono costantemente intimiditi. Noorani, l'editore del quotidiano "Rozgaran" ("Notizie del giorno") è stato minacciato più volte per aver pubblicato opinioni critiche sui signori della guerra. Ed anche il governo vede male il suo lavoro: gli investigatori lo hanno convocato undici volte e lo hanno ammonito due. Se riceverà una terza ammonizione, Noorani verrà costretto a chiudere il giornale.

È in questo scenario che vive una giovane donna di nome Malalai Joya, deputata al parlamento afgano (Loya Jirga) eletta nella provincia di Farah. Malalai, dal 17 dicembre 2003, viene seguita 24 ore su 24 da guardie del corpo. Le sono stati danneggiati l'ufficio e l'abitazione, ed è stata violentemente e ripetutamente minacciata di morte, perchè ha esercitato il suo diritto di parola là dove è stata eletta, stigmatizzando la presenza nel parlamento dei signori della guerra.

Ecco cosa è accaduto il 17 dicembre 2003, durante quella seduta della Loya Jirga, a Kabul, Afghanistan. Prende parola Malalai Joya: "Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah. Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Ho una critica da fare ai miei compatrioti, ovvero chiedere loro perchè permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro paese in questo stato. Ho un senso di pietà e di tristezza, nel vedere qui coloro che hanno definito la Loya Jirga una base per gli infedeli equivalente alla blasfemia, e nel vedere che la loro parola viene accettata. Per favore, considerate i comitati e ciò che la gente sussurra di essi. Il presidente di ogni comitato è già stato scelto. Perchè non mettete tutti questi criminali in un unico comitato, così che possano mostrarci cosa vogliono per questa nazione. Essi sono coloro che hanno trasformato il nostro paese nel fulcro di guerre nazionali ed internazionali. Nella nostra società sono le persone più contrarie alle donne, e quello che volevano... (clamori, si interrompe). Sono coloro che hanno portato il nostro paese a questo punto, e intendono continuare nella loro azione. Credo sia un errore mettere di nuovo alla prova coloro che hanno già dato tale prova di sè. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali ed internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai. Sono tutti registrati nella storia del nostro paese".

Presidente Mojadedi, interrompendola: "Grazie. Avevi chiesto tre minuti e sono trascorsi. (non è vero: Malalai è riuscita a parlare per circa un minuto). Sorella, ho detto fin dall'inizio che tutti i pronunciamenti devono essere cortesi e venire espressi con buone maniere. Nessuno deve essere insultato, e se tu hai delle lamentele scrivile e consegnale ai segretari della Jirga, e noi le esamineremo" (grida, rumori, gente che si alza dai propri seggi, accuse indistinte a Malalai di aver sporcato la reputazione della "gente della jihad", il Presidente invita i presenti a sopportare la "sorella" e a riprendere i propri posti). Mojadedi: "Sorella, guarda cos'hai fatto. Hai sconvolto tutti. Pensi che sia opportuno dire certe cose per insultare qualcuno e infastidire tutti gli altri? Hai fatto un errore". Dopo l'intervento di Sayaf, un mujaheddin che rivendica la guerra santa (potete leggere l'intera seduta sul sito Malalaijoya), il Presidente deciderà di espellere la deputata per "impertinenza", poi tornerà sulla propria decisione, poi su richiesta di un altro mujaheddin le imporrà di scusarsi davanti a tutti e infine, giacchè Malalai Joya non soddisferà tale richiesta, le darà dell'infedele.

Solo l'appello di 40 altre donne delegate all'assemblea parlamentare e la pressione internazionale hanno permesso alla giovane Malalai, venticinquenne all'epoca della seduta, di continuare a veder riconosciuto legalmente il proprio mandato, ma per ragioni di sicurezza ancora oggi non può stare con gli altri delegati in aula. Tuttavia, continua a chiedere al Presidente Hamid Karzai di "ripulire" il suo staff ed il suo paese. "Mi è stato dato un solo minuto per parlare durante l'assemblea" - ha dichiarato al 'Daily Times' il 6 gennaio 2005, In quel breve spazio ho solo chiesto che il nostro presidente si liberi dei criminali che lo circondano. I signori della guerra sono ancora più brutali dei Talebani. I loro bersagli preferiti sono donne e bambini. Questa gente deve rispondere alle corti internazionali di giustizia. Persino i bambini in Afghanistan sanno chi sono questi criminali che ora occupano seggi al gabinetto di presidenza. Ragazze e ragazzi si sono suicidati dopo aver subito le loro atrocità. Questi criminali sono coloro che hanno incrementato le coltivazioni del papavero da oppio sino a portarle ai livelli attuali".

La parlamentare è anche un'attivista sociale, volontaria dell'Organizzazione per la promozione delle capacità delle donne afgane (Opawc), gruppo nato nel 1999 per aiutare le donne afgane nei campi dell'istruzione, della sanità e del lavoro. Oggi, dice sempre nell'intervista rilasciata al "Daily Times", a causa delle continue minacce alla sua vita, è costretta ad indossare il velo quando viaggia per incontrare e istruire le donne. I mujaheddin l'hanno pure pubblicamente bollata come "prostituta". L'intervistatore le domanda ad un certo punto come potrebbe Karzai liberarsi dai signori della guerra, che hanno ingenti arsenali di armi e munizioni. Malalai risponde che il presidente deve capire che gli afgani lo sosterrebbero in questo: "Se capisce che ha il sostegno del popolo, non ha importanza quanto forti siano i signori della guerra: nessuno sarebbe in grado di fermarlo nel ripulire il paese da questi individui assetati di sangue".

Il 3 dicembre dello scorso anno Malalai Joya è stata in Italia, ospite della Regione Val d'Aosta che le ha conferito il premio "Donna internazionale 2004" con questa motivazione: "A Malalai Joya, per la sua grande forza, perchè ha avuto il coraggio di sognare e di vivere per i suoi sogni, perchè attraverso la sua lotta continua a ricordarci che l'ingiustizia è sempre una minaccia alla vita. La sua forza morale può dare speranza alle donne afgane e a tutto il suo popolo sofferente". Nel discorso di accettazione, Malalai ha detto fra l'altro: "In questo momento, la mia speranza è che tutte le forze democratiche del mondo si uniscano nel condannare tutte le forme di fondamentalismo e di dittatura. Solo una grande forza, unita e democratica, in ogni parte del mondo, potrà aiutare molte persone ad ottenere la libertà che è loro".

di Maria G. Di Rienzo

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo per queste notizie. Maria G. Di Rienzo è una delle principali collaboratrici de La nonviolenza è in cammino, foglio elettronico da cui abbiamo ricevuto questo contributo. Prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, Maria G. Di Rienzo ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Università di Sidney (Australia); è impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarietà e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; è coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Napoli, Edizioni Intra Moenia, 2003].

 

 
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