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Le donne arabe continuano a pagar cara la propria emancipazione

Negli stati arabi un terzo delle donne è nubile. E questo non accade solo per una questione di sfortuna (essere anis, cioè nubile, rappresenta per loro una condizione ben più insopportabile del nostro “rimanere zitella”, anzi un vero e proprio marchio infamante, al punto da spingere qualcuna al suicidio). Le donne arabe hanno cominciato una (si spera) inarrestabile corsa verso l’emancipazione che, per quanto vitale, stanno pagando cara. Nonostante tutto, infatti, sono pur sempre i genitori a decidere la loro “sorte matrimoniale”, i quali continuano a trattare le proprie figlie alla stregua di vera e propria merce: più essa è pregiata, più è costosa; così per una figlia laureata e magari già impiegata, la dote richiesta raggiunge cifre da capogiro che ben pochi pretendenti sono in grado di offrire. Se per le donne arabe tuttavia un passo indietro potrebbe essere fatale, per le donne irachene sarebbe perfino auspicabile. L’Iraq degli anni Sessanta costituiva addirittura un punto di riferimento per l’intero Medio Oriente in fatto di emancipazione femminile, ma il governo di Saddam ha spazzato via tutto questo nel nome della Sharia, come documenta l’associazione Women for Women (WfW). Anche il governo post-Saddam, aggiunge la WfW, ha promosso il coinvolgimento e l’integrazione delle donne nel processo decisionale solo esteriormente e in maniera del tutto superficiale, al punto che queste cominciano a riconoscere proprio nelle istituzioni religiose un punto di riferimento sostitutivo delle istituzioni statali. E tutti sanno quanto questo possa essere pericoloso.

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15 febbraio 2005
Elisabetta Affatigato

 
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