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Perché la politica respinge le donne Print E-mail
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Una risposta all'editoriale di Nino Alongi pubblicato su La Repubblica di Palermo del 20/02/04

Nei giorni in cui all’Assemblea regionale siciliana si discute il disegno di riforma elettorale, Nino Alongi esprime delle perplessità su ciò che maggiormente lo caratterizza:

• l’alternanza uomo-donna nella composizione delle liste
• l’irricevibilità delle liste elettorali che non la prevedano (esclusione della lista)
• la doppia preferenza di genere
• le sanzioni pecuniarie per i partiti che non rispettano il riequilibrio della rappresentanza.

Le riserve critiche avanzate si ispirano al pensiero del filosofo e politologo Dahrendorf, il quale sostiene che nell’ambito di un ordinamento liberale le norme che garantiscono l’accesso al potere in una certa percentuale ai membri di categorie discriminate non possono diventare un principio permanente. La critica è che l’insieme di queste norme, chiamate affermative action, rischiano di trasformarsi nel tempo da “una coraggiosa mossa nella lotta per i diritti civili” in un privilegio che lederebbe la dignità delle lotte delle donne.

Dahrendorf ha elaborato queste critiche sulla base della pluriennale esperienza del legislatore statunitense, ma perché le citazioni non diventino provinciali ciaccole, chiacchiere che non hanno alcun fondamento nel nostro contesto sociopolitico, bisogna ragionare a partire da dati concreti.
Il contesto oggettivo della nostra realtà è definibile a partire dai dati (aggiornati al 20/10/03) elaborati e forniti da Arcidonna:

In Italia la percentuale delle donne presenti alla Camera dei deputati è del 11,5%, mentre al Senato è del 8,1%. L'Italia è il fanalino di coda come presenza femminile nelle rappresentanze nazionali al Parlamento europeo, e nel confronto fra i parlamenti nazionali dei 15 paesi dell'Ue
A livello mondiale è sessantasettesima nel confronto fra gli stati.

La Sicilia, insieme a Lazio e Veneto, si colloca al terzultimo posto tra le Regioni italiane in relazione alla presenza femminile all'interno delle Giunte Regionali e al quartultimo, insieme a Molise, per numero di donne nei Consigli Regionali.

Nel suo editoriale Alongi parta dalla constatazione “che uno degli eventi più significativi del secolo che ci siamo lasciati alle spalle sia da ricercare nella emancipazione femminile”. Riconosce che le donne negli ultimi decenni sono riuscite ad affermarsi nel lavoro e in economia, distinguendosi per capacità ed efficienza, ma non riesce a capacitarsi del perché la stessa cosa non sia avvenuta in politica. Il dubbio lo attanaglia a tal punto da domandarsi: “Dipende dalla resistenza degli uomini o dalla desistenza delle donne?”
Che senso ha questa domanda quando qui da noi le donne hanno presentato un disegno di legge che prevede coraggiose rivendicazioni di ordine squisitamente politico?
Forse negli USA queste rivendicazioni, per un liberale, possono risultare superate o comunque criticabili, ma considerati i dati della nostra realtà, la proposta di riforma della legge elettorale regionale è una delle nuove frontiere delle lotte per i diritti civili.
In Italia e in Sicilia le donne devono scontrarsi con una resistenza culturale e politica alla quale rispondono con una determinazione e una concretezza ottimamente esemplificata dalla proposta di riforma suddetta, che qualora dovesse passare sarebbe un primo deciso passo verso una democrazia paritaria.

Ma continuiamo a seguire il filo delle riflessioni critiche offerteci da Alongi.
“Siamo sicuri che l’assenza di partecipazione femminile alla vita politica dipenda dai meccanismi maschilisti di selezione, o non piuttosto dalle funzioni sempre più marginali e ininfluenti delle istituzioni rappresentative?”
Rispetto alla prima parte della domanda ci si è già pronunciati, ma il quesito circa le condizioni delle istituzioni rappresentative dà un buono spunto per articolare meglio il nostro discorso.
Indubbiamente le istituzioni democratiche, per come le abbiamo conosciute finora, non godono certo di buona salute, e a fronte di una tale situazione molte donne sono tutt’altro che invogliate a spendere le loro energie in una scena politica arretrata e deprimente. È una scelta più che legittima, ma non ha niente a che vedere con le differenze di genere. Ma se le donne decidono di impegnarsi in politica, come molto di loro generosamente continuano a fare, allora il discorso si fa radicalmente differente. L’iniezione di fiducia e la carica d’innovazione che le donne possono infondere alle istituzioni rappresentative è riassunta dai concetti empowerment e mainstreaming, concetti chiave sanciti dalla Conferenza mondiale delle donne indetta dall’ONU a Pechino nel 1995.
L’empowerment è il perseguimento di una presenza diffusa delle donne nelle sedi in cui si assumono decisioni rilevanti, al fine della acquisizione di poteri e responsabilità. L’obiettivo critico non è posto da una minoranza che chiede maggiori garanzie, ma è la rivendicazione di una maggioranza non rappresentata, è la questione cruciale della differenza di genere. L’empowerment è il mezzo per portare nei luoghi decisionali uno sguardo nuovo, un approccio critico capace di interpretare in maniera più ricca e complessa le esigenze della società nel suo complesso. L’approccio globale che impone di considerare e analizzare tutti i programmi, tutte le politiche e tutte le azioni, al fine di tener conto sistematicamente delle differenze esistenti fra le condizioni, le situazioni e i bisogni delle donne e degli uomini è il mainstreaming. Il ricambio profondo della classe politica dovrà passare necessariamente anche da qui.
L’empowerment non vorrebbe essere la vecchia “presa di potere”, ma una pratica strategica per rendere profondamente differente il concetto che, forse meglio di ogni altro, racchiude in sé millenni di maschilismo: il Potere. La ridefinizione di questo concetto dovrebbe rendere la democrazia molto più partecipativa e potrebbe apportare profondi mutamenti nei tempi e nei ritmi dell’intero ciclo produttivo. Dalla reciproca e paritaria compenetrazione delle differenze di genere si potrebbe configurare una società senza grosse concentrazioni di potere, pacifica, laboriosa e creativa.
La politica che conosciamo respinge le donne perché ha paura del diverso, ha paura del possibile, ha paura che il diverso sarebbe anche possibile.

Vittorio Greco
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