Natura e tecnologia sono in antitesi o il concetto di evoluzione partecipata di Murray Bookchin può metterle d'accordo?
Una delle questioni che ha sollevato l’acceso dibattito causato dalla
nuova legge sulla fecondazione assistita è quella che riguarda il ruolo
del progresso tecnico-scientifico nelle rappresentazioni che le culture elaborano
di se stesse.
Dal XVII secolo in poi il progresso delle scienze è stato considerato
la punta di diamante della storia della civiltà occidentale e il sapere
tecnico-scientifico è stato concepito come uno strumento per domare una
natura ostile. Buona parte del dibattito attuale sulla fecondazione assistita
presuppone questa visione del mondo, e prevede una cesura netta tra natura e
civiltà.
Chi affronta le spinose questioni poste dalle tecniche per la fecondazione assistita
con categorie concettuali elaborate entro l’orizzonte di una Weltanschauung
che separa la storia naturale della specie umana da quella della civiltà
è portato a pensare che tali conoscenze tecnico-mediche siano uno nuovo
prodigioso strumento con il quale disporre della natura, incluso il corpo della
donna.
Se la tecnica medica è vista come un potere,
è “normale” che sorga l’esigenza di individuare dei
soggetti responsabili che diano limiti chiari e invalicabili a ciò che
è reso semplicemente possibile dagli scienziati. Di fronte al
potere di determinare le modalità della riproduzione della specie si
sente la necessità che uno o più soggetti collettivi fissino i
limiti della tecnica, perché il suo potere rimette in gioco lo stesso
concetto di vita.
Questi soggetti sono lo Stato e la
Chiesa. Le donne non sono contemplate come
titolari di questo diritto. Del resto la società civile stenta
a tenere dietro alle nuove problematiche che il secolo ci impone, e i suoi rappresentati
politici non sono certo da meno. Ci si ritrova dunque ad appellarsi all’autorità
della Chiesa, una delle poche istituzioni che si pronunciano su tutte le questioni
che il progresso tecnico pone. E così avviene che lo Stato fa della norma
di una religione una delle sue leggi. Secondo la Chiesa e lo Stato italiano
la donna di fronte alla procreazione assistita non potrà disporre liberamente
del progresso delle tecniche e del suo corpo perché la sua scelta implica
responsabilità che trascendono la sua coscienza e che possono essere
assunte solo da soggetti collettivi.
In che misura si può ricorrere alla tecnica per creare la vita? E quand'è
che la vita comincia? Comincia ad affermarsi l’idea che l’embrione
sia un individuo con dei diritti da tutelare. Lo dice la Chiesa e lo Stato deve
tutelare il diritto del nascituro, della società e dell’intera
umanità.
Una tale protervia e tracotanza è figlia di una mentalità che
concepisce la tecnica come potere sulla natura. Il
bambino che verrà non sarà solo e soprattutto figlio di una donna
che ha fatto una ponderata e dolorosa scelta quanto piuttosto della società
e della sua tecnica. La patria potestà deve essere esercitata
dalle massime autorità. L’uomo e la donna che verranno saranno
figli della civiltà, della società e della sua tecnologia, non
figli responsabilmente avuti da una donna. Tutto ciò perché non
saranno figli avuti naturalmente, perché saranno il frutto di pratiche
tecnologiche che invadono il perimetro sacro della natura umana. Ma siamo sicuri
che sia così?
La tecnologia deve necessariamente essere pensata in
antitesi alla natura o non è forse un prodotto dell’evoluzione
biologica dell’homo sapiens?
Possiamo pensare la tecnologia in antitesi alla natura oppure possiammo pensarla
come il frutto della nostra evoluzione biologica. A patto che contemporaneamente
si smetta di pensare all’evoluzione biologica come a un processo cieco
e ineluttabile.
Un attivista e pensatore libertario statunitense, Murray Bookchin, a tal proposito
ha elaborato il concetto di evoluzione partecipata.
Secondo questa concezione l’individuo con le
sue scelte può partecipare al processo dell’evoluzione della sua
specie, può determinarne in parte il corso, e può farlo
con il libero uso della ragione. Con la scelta responsabile l’individuo
può scegliere tra le varie possibilità che l’evoluzione
biologica-culturale della specie ha messo a disposizione di ognuno. Ogni individuo,
uomo o donna che sia, in quanto dotato di umanità e ragione può
partecipare con pari diritti a un fitto dialogo tra le più disparate
anime della società, su ogni questione. Può quindi deve farlo,
perché soltanto così potrà esercitare in maniera cosciente
e libera la sua facoltà di scelta.
Vittorio Greco
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