Osservatorio di genere


Arcidonna News Il paradosso della società statunitense
Il paradosso della società statunitense Stampa E-mail
Alison Schieffelin ha vinto la causa per discriminazione sessuale contro il colosso bancario Morgan Staneley. Ma quante altre donne subiscono, senz'alcuna visibilità né possibilità di riscatto, le pesanti tare del sistema produttivo americano?

Dopo Wal-Mart, la più grande catena di supermercati degli Usa, la Commissione americana per le pari opportunità ha istruito una causa per discriminazione sessuale contro la Morgan Staneley, una delle più grandi banche d’affari, simbolo di Wall Street. Ma proprio quando il dibattimento stava per cominciare davanti alla corte distrettuale di Manhattan, la banca ha patteggiato con la commissione un accordo economico che prevede un risarcimento di 54 milioni di dollari. Il patteggiamento, per quanto esoso, è stato ritenuto dal colosso bancario meno gravoso del danno di immagine che gli sarebbe stato inferto dalle deposizioni delle ventotto donne che rappresentano le trecentoquaranta impiegate che dal 1995 hanno lavorato per la banca, subendo discriminazioni e mobbing di ogni genere e grado. Malgrado il patteggiamento, la vicenda non ha potuto non destare scalpore, perché mostra come le più retrogradi discriminazioni sessuali sopravvivano e si riproducano all’interno delle strutture aziendali più avanzate e produttive d’America, quali sono appunto la Morgan Staneley e Wal-Mart. Vacilla dunque il mito americano della donna emancipata che, se vale, “può farsi da sé” come qualsiasi altro uomo, e non solo perché viene negato l’incarico di amministratore delegato a una Alison Schieffelin qualunque (la prima donna che fatto causa alla Morgan Staneley). Lo studio di una sociologa americana sulla condizione di vita delle donne migranti denuncia senza mezzi termini nuove forme di schiavitù, e fa una grave denuncia. A suo parere, le donne americane non hanno migliorato la loro condizione strappando potere agli uomini, ma solo sfruttando donne meno fortunate che vengono da paesi più poveri. Malgrado provenga da una donna, la denuncia mi sembra ingenerosa, ma penso che abbia un contenuto di verità. I ritmi e le modalità di produzione nei quali la donna deve integrarsi per avere nella società condizioni di concreta parità con gli uomini sono stati pensati e attuati secondo logiche e parametri maschilisti. La logica della competizione, del profitto ad ogni costo e della crescita economica illimitata produce infatti marginalità ad ogni livello del sistema produttivo e sociale. Nel cuore di importanti realtà produttive, questa marginalità è incarnata dalla donna in carriera che subisce le aggressive manifestazioni di insicurezza e paura dei suoi colleghi maschi, i quali si sentono insidiati dalla preparazione e dalla determinazione femminile; dall'altro lato, è la donna migrante che viene emarginata e relegata a supplire le mansioni domestiche, che la donna in carriera non svolge più. La questione dell’emancipazione femminile non va pensata solo in termini di parità decisionale nei luoghi di potere, ma anche in termini di ritmi e modalità di produzione, altrimenti ci si incarta in paradossi come quelli denunciati dalla sociologa statunitense, dai quali è difficile venirne fuori. Se la società produce e si riproduce con folli ritmi che mirano solo alla crescita economica e all’accumulo di potere, le possibilità di emancipazione saranno sempre scarse per tutti, uomini e donne.

Dopo aver visto preclusa la possibilità di diventare amministratore delegato per il semplice fatto di essere donna, e dopo essere stata licenziata per ritorsione contro le sue denunce, Alison Schieffelin ha ricevuto un giusto indennizzo per i torti subiti, valutato in dodici dei cinquantaquattro milioni che la Morgan Staneley ha dovuto pagare per le sue indegne politiche gestionali. Chi sa cosa pensa di tutto ciò la messicana che lavora per la signora Schieffelin.

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21 luglio 2004 Vittorio Greco Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 
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