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Arcidonna News "Italia, ritratto poco reale" di Valeria Ajovalasit
"Italia, ritratto poco reale" di Valeria Ajovalasit Stampa E-mail
Con un articolo uscito venerdì 24 giugno sul settimanale "Rinascita", la presidente di Arcidonna analizza i principali motivi della sconfitta del fronte del sì: l'inflazionamento dell'istituto referendario, la capillare campagna anti-laicista della Chiesa cattolica, la perdita di slancio ideale della sinistra italiana. Eppure, la società italiana sta andando in tutt'altra direzione.

È necessario riflettere bene sul significato della sonora sconfitta del fronte del sì al referendum sulla fecondazione assistita ed evitare un errore che frettolosamente e presi dallo scoraggiamento ci verrebbe facile commettere: non è affatto detto che la massiccia astensione dalle urne significhi che al 75% degli italiani e delle italiane va bene la pessima legge 40 così com’è; non è affatto detto che gli italiani e le italiane siano disposti a far decidere dalla gerarchia ecclesiastica cosa fare e cosa non fare nella loro vita privata; non è affatto detto che gli italiani e le italiane vogliano frenare la ricerca scientifica e non utilizzare le possibilità che scienza e tecnologia oggi forniscono di correggere condizioni e infelicità di natura che prima si potevano solo accettare come un destino.

Questo ritratto del nostro paese non corrisponde a troppi altri comportamenti che abbiamo sotto gli occhi. Il corpo è ormai diventato tutt’altro che un dato di natura: dalla consuetudine di modellarlo a proprio piacimento attraverso palestre, anabolizzanti, piercing e tatuaggi alla separazione ormai totale fra espressione della propria sessualità ed espressione del desiderio di procreare, il rapporto con il proprio corpo è diventato decisamente “postnaturale”. Il rapporto con la religione, e con quella cattolica in particolare, è ben lontano dall’adesione totale alle regole di comportamento dettate dai parroci, dai vescovi e perfino da un papa idolatrato come Giovanni Paolo II: i primi ad accorgersene sono stati probabilmente coloro che si sono trovati a raccogliere i preservativi lasciati sui prati che hanno ospitato i megaraduni dei giovani cattolici in delirio di fronte al papa che ci ha lasciato qualche mese fa. Ma anche altri dati di fatto, meno visibili ad occhio nudo, indicano che il costume e le idee degli italiani e delle italiane non sono affatto regrediti a modelli integralisti e non sono andati indietro ma avanti rispetto ai tempi delle clamorose vittorie sul divorzio e sull’aborto. Arcidonna ha condotto nell’ultimo anno una ricerca a campione sulla popolazione italiana (“La rappresentazione sociale della discriminazione sessuale”, Indagine sulla condizione femminile in Italia, a cura di Carlo Buttaroni) da cui emerge con chiarezza l’avanzare di una mentalità assolutamente libera e aperta sui temi della coppia e della famiglia, della parità, dell’omosessualità. Tale dato è poi amplificato nelle fasce d’età più giovanili, cioè fra gli studenti di scuole superiori e università, come è fra l’altro confermato da un’altra ricerca di Arcidonna, effettuata all’interno di un cospicuo numero di scuole sparse sul territorio nazionale (“Con la parità si vince in due”) in via di pubblicazione.

Ma, allora, come mai, chiamati a decidere su una legge che contraddice libertà di scelta, progresso scientifico e stato laico, gli italiani non vanno a votare, seguendo le indicazioni di Ruini (e purtroppo anche di Rutelli)? Certamente c’è ormai un esteso rifiuto dello strumento referendario, svuotato dall’eccessivo ricorso ad esso che hanno fatto i radicali su quesiti spesso di minore importanza o di contenuto troppo tecnico per essere affidati alla volontà popolare diretta anziché allo studio e al lavoro dei rappresentanti politici eletti proprio per trovare le soluzioni ai problemi complessi. Non è certo senza significato che siano ormai anni che ai referendum non si raggiunge il quorum. In secondo luogo, in una società in cui la capacità di comunicazione sociale – la propaganda mediatica, per dirla brutalmente – è il principale strumento per imporsi, i partiti del fronte del sì si sono impegnati troppo tardi, non tutti con la stessa determinazione, spesso in maniera troppo timida, tecnicistica e poco efficace. Chi invece ha lanciato una campagna senza precedenti, per investimenti economici e per estensione capillare, è stata la Chiesa. Bisogna riconoscere che è stata più brava e più determinata, ma dispiace, ad esempio, che un simile impegno non sia mai stato profuso contro la mafia, ben salda nel suo potere e che minaccia senza alcun dubbio la vita, la dignità umana e il futuro dei siciliani, di quelli già nati e di quelli ancora in embrione. E la Sicilia, come tutto il Mezzogiorno, si è massicciamente astenuta al referendum. La forbice Nord–Sud è ancora una realtà, non solo economica ma anche di partecipazione civile, a cui il clima sociale creato da mafia, camorra e ‘ndrangheta non è certamente estraneo.

Per concludere e cercare di comprendere una sconfitta sulla legge 40 che non si può far corrispondere meccanicamente alla volontà del paese e al suo quadro sociale complesso, c’è ancora da citare la ragione forse più importante e certamente più profonda: il fronte progressista, la sinistra italiana non sono più capaci di parlare il linguaggio delle idee forti, della passione ideale, di un’etica laica, di un progetto di futuro. Questo non ci impedisce di amministrare meglio di quanto non faccia il centrodestra che ci ritroviamo, di essere più affidabili nella pratica politica del giorno per giorno, ma in un referendum che pone problemi di etica e di immaginazione del futuro possibile certamente emerge come una mancanza di anima e di coraggio che ci toglie gli strumenti più importanti per combattere (quelli che usa Zapatero, per dirlo in una parola). Strumenti di cui forse si può fare a meno nelle competizioni amministrative, ma che servono invece per costruire un progetto da proporre al paese alle prossime elezioni politiche.

Valeria Ajovalasit 24 giugno 2005

 

 
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